La prima cosa che ti resta al termine della lettura di Due vite di Emanuele Trevi è la frase “La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti”. Mi sono subito resa conto di quanto vera fosse questa frase, perché il ritratto degli scrittori Rocco Carbone e Pia Pera, amici di gioventù scrittori scomparsi prematuramente, ci resta proprio nel cuore, da subito, vivido e toccante in tutti i suoi aspetti.
Il romanzo di Trevi racconta infatti la vita di due cari amici che egli dimostra di aver conosciuto molto bene. Lo immaginiamo intento a sistemare documenti e fotografie che lo ritraggono insieme a loro, Rocco Carbone e Pia Pera, in quella particolare età della vita in cui il futuro è una scommessa, un’aspettativa, un sogno o forse paura.
Due vite, un libro che ti avvolge
Sin dall’incipit Rocco viene definito come “una di quelle persone destinate ad assomigliare, sempre più con l’andare del tempo, al proprio nome”. Rigido, ostinato, solido, forse troppo, di lui Trevi descrive le manie, i lampi di genio e le ossessioni caratteriali, le grandi capacità di semiologo e scrittore ma anche le crisi oscure che invadevano la sua sfera intima. Un personaggio destinato all’infelicità o alla non felicità, un giovane a cui era difficile accettare la vita così come si presentava.
Ma la vita di Rocco si incrocia anche con con quella di Pia Pera, brillante traduttrice e scrittrice: una donna dotata di pericolose riserve di incoerenza e suscettibilità, ironica, maliziosa, capace di scelte originali, predisposta anche lei alla non felicità, mai soddisfatta e sempre alla ricerca di qualcosa di più. Piera rappresenta anche un prototipo di femminismo molto avanzato, la donna che concretamente , e non solo attraverso slogans, fa scelte di vita scomode e opposte alla morale e alle convenzioni sociali.
Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene.
Due vite, il potere della memoria
Questo è l’altro aspetto del romanzo che mi ha colpita di più e invita ad una riflessione importante, insolita, ma molto veritiera, anche se drammatica nella sua lucidità: E’ vero, ognuno ripensa a quanto i propri cari estinti siano ancora vivi e presenti proprio perché ancora tanto menzionati, nominati; e se quella parola diventa scrittura, e non vola ma resta, ecco che l’operazione ricordo effettuata da Trevi non sola si può dire riuscita, ma getta un seme in tutti noi lettori, che ci sentiamo incoraggiati a non dimenticare, a citare, raccontare e scrivere di chi non c’è più.
Confesso che non conoscevo nessuno dei due scrittori protagonisti del romanzo, ma che dopo la lettura di esso non solo sono andata a documentarmi su di loro, ma ne posseggo un ritratto vivace e concreto, anche molto visivo.
Questo grazie alla prosa nitida, scarna ma emotiva di Trevi, capace di descrivere e di esprimere sentimenti, i suoi, che sono sempre di grande amore per i suoi amici, anche quando ce ne rivela i tratti caratteriali meno facili. Alla fine sono rimasta addolcita e turbata: i sentimenti belli espressi dallo scrittore chiaramente vanno a scontrarsi con la tragicità dell’epilogo delle due vite.
Ma è bellissimo l’equilibrio che Trevi riesce a trovare per potersi lui stesso lasciare dondolare da un effluvio di ricordi non sempre semplici da elaborare, ma con il comune denominatore dell’affetto sincero di un uomo che consacra alla scrittura la memoria di chi sa che, con certezza, resterà sempre nel suo cuore.
Segui Smack!
Non dimenticarti di seguire Smack! – Blogzine per donne croniche su Facebook. Metti mi piace alla nostra pagina! E segui anche il gruppo Il circolo Smack! Iscriviti anche alla nostra Newsletter cliccando sul form in Homepage oppure qui.
Lascia un commento