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Wanna Marchi, regina del male senza trono

Non è semplice parlare di un prodotto come Wanna, la nuova docuserie di Netflix che in quattro episodi racconta vita, opere e malvagità varie della regina delle televendite, Wanna Marchi. E non lo è per un motivo semplice. Il rischio di opere del genere è che per una frazione di secondo ci si senta vicini a un’eroina malvagia, abbassando la guardia e facendosi ammaliare da tanta perfidia. Bene, in questo caso il rischio non si corre mai.

La serie scritta da Alessandro Garramone e Davide Bandiera e diretta da Nicola Prosatore, al pari della bellissima SanPa, è un viaggio agli inferi condotto sempre con mano ferma. Senza alcun infiocchettamento. Al termine di questa discesa tra le fiamme del male ne usciamo sicuramente diversi. Affranti e addolorati per la storia di tante vittime della follia di questa donna (sul concetto di follia torneremo più avanti), ma anche felici di non essere come lei.

Leggi anche: SanPa, luci e ombre di Vincenzo Muccioli
Wanna la recensione della docuserie di Netflix

Wanna Marchi

Wanna, dalla V alla W

Vanna Marchi nasce in una famiglia contadina molto numerosa. Non è bella. E questa cosa la perseguiterà per anni, diventando piano piano il propellente per una rivalsa nei confronti del mondo che sa tanto di vendetta. Si sposa giovanissima con un rappresentante, Raimondo Nobile, da cui ha due figli, Maurizio e Stefania. La loro è una vita che pian piano si lascia schiacciare dalla routine. Da un parte i tradimenti continui di lui, dall’altra il desiderio di Vanna di diventare qualcuno scandiscono una storia destinata a finire in malo modo.

La Marchi fa mille lavori per cercare di realizzarsi, anche truccare i morti. Un giorno, dopo aver truccato il cadavere di una ragazzina morta in un incidente (forse l’unico briciolo di umanità che sentiamo nelle sue parole), riceve dalla di lei madre un gruzzolo sostanzioso. Lo investe comprando una 500 blu luccicante. Diventa un’estetista a domicilio e pian piano inizia a creare i suoi prodotti, con la collaborazione di un’azienda chimica di Parma.

Lo scioglipancia

Apre una piccola profumeria in un paesino alle porte di Bologna e approda in TV dove, televendita dopo televendita, conquista il cuore degli spettatori. Come? Proponendo prodotti di bellezza come il famigerato Scioglipancia, con piglio violento e impetuoso. La salita è inarrestabile, l’azienda cresce mese dopo mese e al fianco di Vanna, ormai diventata Wanna, c’è anche la figlia Stefania con cui vive un rapporto simbiotico. L’ascesa è velocissima, dicevamo, Wanna diventa un personaggio amato e contestato in egual maniera. Ma la caduta altrettanto veloce e rovinosa. Un crack, nel 1990, che non piega assolutamente la donna, pronta a rilanciarsi in altra maniera.

La mega truffa

Forte della lezione di Jordan  Belfort, trova infatti qualcos’altro da vendere. E crea nuovi bisogni. Dopo aver sfruttato la paura di non essere belli, sfrutta quella di restare soli, in balia degli eventi.

Con la collaborazione del Mago do Nascimento, conosciuto nella casa di una figura ambigua, il marchese Capra de Carrè, mette in piedi una società che truffa donne e uomini ignari vendendo combinazioni del lotto, filtri d’amore, amuleti e via di seguito. Un sistema criminale ben organizzato che, una volta agganciata la vittima, la spinge a versare decine di migliaia di soldi, con la promessa di fantomatiche vincite. La Marchi, sua figlia e il Mago (che fugge all’estero), vengono scoperti grazie alla segnalazione di una donna a Striscia la Notizia. Il 24 gennaio 2002 Wanna Marchi e la figlia Stefania Nobile finiscono in manette. Il procedimento  giudiziario si chiude nel 2009, quando la Corte di cassazione conferma in via definitiva le condanne a 9 anni e 6 mesi di reclusione per Wanna Marchi, a 9 anni e 4 mesi per la figlia Stefania Nobile. Oggi sono libere.

Cosa mi è piaciuto

La serie scorre in maniera piacevole e ritmata, su binari piuttosto canonici, alternando le varie testimonianze di colleghi della Marchi, investigatori e vittime. Il rapporto che lega le due donne, una follia a due in cui c’è una fusione totale di Wanna e Stefania, viene spiegato in maniera limpida ed esemplare. La loro è una relazione talmente esclusiva da tagliar fuori tutto il mondo.

Non si prova mai empatia per loro, che si mostrano in tutta la loro ferocia con una naturalezza che fa quasi rabbia. Questo è sicuramente merito di una regia intelligente, che ha lasciato il “miracolo” compiersi da sé. Del resto, non c’è alcun bisogno di forzare la mano, quando due protagoniste del genere gettano la maschera così.

Cosa non mi è piaciuto

Non mi sono piaciute loro. E non c’entra la serie, bellissima.

Ho provato un brivido di disgusto davanti a queste due donne invecchiate pesantemente nonostante la loro mise impeccabile, lo smalto rosso e il capello fresco di parrucchiere. Come fossero il ritratto di Dorian Gray, fanno trasparire la loro indole oscura. Il loro linguaggio violento e denigratorio oggi  sarebbe inammissibile, ma quante donne e quanti uomini sono state ferite e feriti da loro? Non si tratta nemmeno di bodyshaming, ma di un’articolata, disgustosa, furente crociata contro gli esseri umani.

C’era bisogno di riportarle di nuovo in scena? Non sarebbe stato meglio un lungo, sano oblio? Forse. Ma ritengo necessario confrontarsi con l’orrore che certe figure incarnano. Un male assoluto che non conosce pentimento, redenzione, resa.

Quando Stefania dice che le persone che hanno creduto ai rituali fossero dei creduloni (pertanto meritavano di essere prese per i fondelli) enuncia la sua verità. Nel suo mondo vince il più forte sempre. E il più forte non ha talento, solo ferocia. Vorrei che sparissero per sempre. Ma non succederà, perché Wanna e sua figlia faranno sempre comodo. Purtroppo.

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Francesca Fiorentino
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Giornalista professionista e podcaster, scrivo, cucino e faccio ridere, non sempre in quest'ordine. Amo la radio, i film, le margherite, le magliette a righe, i regali inaspettati e i taccuini nuovi. Qui leggi il mio sito professionale


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