Da mercoledì 13 aprile sulla piattaforma streaming Disney+ sono disponibili gli otto episodi della serie Le fate ignoranti, chiaramente ispirata all’omonimo film di Ferzan Ozpetek. Un evento dalla natura cinematografica che, in sé, potrebbe non creare un particolare clamore se non fosse che il regista turco e lo sceneggiatore Gianni Romoli hanno deciso di riprendere il racconto di una storia capace di segnare un’epoca e nutrire le aspettative di una generazione alla ricerca di una visione diversa del mondo tangibile che la circondava e, soprattutto, di una nuova interpretazione dell’amore.
Per questi motivi e per aver vissuto in prima persona quel momento di scoperta e rivelazione, ho pensato che fosse l’occasione giusta per ripercorrere i passi fondamentali, non di un successo cinematografico, ma di un’esperienza emotiva e culturale che ha unito molti ragazzi di quegli anni. E per spiegare meglio il significato assunto da Le fate ignoranti è bene partire dall’inizio.

Margherita Buy e Stefano Accorsi in Le fate ignorantiDa
Le fate ignoranti, l’inizio
Era il 16 marzo 2001 quando il film uscì in sala senza nessun tipo di clamore o trionfante presentazione. Il nome di Ferzan Ozpetek aveva ancora una risonanza pesantemente straniera e la sua seconda pellicola sembrava destinata ad una veloce apparizione per poi conquistare l’oblio. Come sappiamo, però, gli eventi sono andati differentemente. Per stessa ammissione del regista la produzione non credeva nell’efficacia del titolo e in quella della storia raccontata.
Anche per questo, dunque, venne scelta una data poco adatta ad un’uscita importante. Nonostante tutti questi elementi a sfavore, però, il film è riuscito a conquistare il cuore e l’attenzione di un pubblico sempre più ampio, costringendo ad un successivo aumento delle copie distribuite. A questo punto, però, al di la dei meriti artistici, è d’obbligo chiedersi quali siano state le motivazione alla base di quest’improvviso ed imprevisto colpo di fulmine.
Le fate ingnoranti e gli anni Duemila
Oggi, ripensando a quegli anni e alla condizione culturale e sociale che si stava vivendo, è naturale arrivare velocemente ad una conclusione. Le fate ignoranti, infatti, è arrivato a colmare una sorta di assenza e, al tempo stesso, nutrire un bisogno. Tra la fine degli anni novanta e gli inizi del duemila, infatti, si viveva ancora in una società più chiusa, figlia di una mentalità dalla forte moralità che faceva fatica a scardinare i suoi preconcetti. Come se non bastasse, poi, la paura delle malattie sessualmente trasmettibili e, in particolare, dell’AIDS, aveva intrappolato anche la sfera intima, rendendola sempre più lontana da qualsiasi estemporaneità.
Nonostante questo, però, si percepiva l’esistenza di qualche cosa di alternativo. Di un universo parallelo in cui gli affetti e le appartenenze sessuali potevano anche non avere nessuna motivazione di esistere. Una sorta di terra di nessuno dove poter trovare una nuova interpretazione ai legami famigliari e non, liberandoli da architetture troppo strutturate che nulla avevano a che fare con l’amore.
Uno spiraglio aperto
Ecco, in questa particolare condizione, Le fate ignoranti è come se avessero aperto all’improvviso una porta, introducendo tutti in quella realtà composta da un’umanità variegata che, nonostante non trovasse una collocazione nella così detta società, era riuscita a costruire una propria dimensione. Attraverso, probabilmente, il suo film più istintivo e perfettamente compiuto, Ozpetek ci ha consegnato le chiavi dell’appartamento di Michele, ha fatto spazio per noi alla sua tavola e ci ha reso parte integrante di quelle luminose domeniche di rumore e colore dove tutto poteva accadere ed essere detto.
Ecco, la mia generazione, o una parte di essa, da allora continua a tornare su quella terrazza. Come? Avendo imparato a ripetere una sorta di celebrazione laica dell’affetto e dell’accoglienza. Una sorta di sacralità quotidiana in cui il cibo, il nutrimento, il confronto e, soprattutto, l’inclusione sono gli elementi fondanti. In parole povere, attraverso Le fate ignoranti abbiamo scoperto e imparato a costruire le nostre famiglie logiche. Ossia, quelle composte attraverso la scelta personale e sulla riconoscibilità, dove la consanguineità non è un elemento imprescindibile.
Le fate ignoranti: storia di cibo e d’amore
Prima di andare avanti, però, è opportuno fermarsi un attimo e ritornare indietro all’intreccio di questa storia. Almeno per tutti coloro che il film non l’hanno mai visto. Tutto parte da un evento dissonante, destinato a creare caos e a mettere in moto la vicenda stessa. Un uomo, muore investito da una macchina. Solo successivamente ci viene svelato che si tratta di Massimo, il marito di Antonia. I due sembrano essere la perfetta coppia borghese ma, come spesso accade, non sempre la realtà è come appare. Massimo, infatti, ha una doppia vita.
La sua amante, però, non è una donna ma Michele, un giovane uomo che lo introduce in un variegato mondo fatto di un’umanità talmente intensa e coinvolgente da rimanere affascinato senza possibilità di ritorno. Lo stesso sentimento provato da Antonia che, confrontatasi con una verità sconvolgente, viene assorbita da questa famiglia alternativa in cui ironia, dolore, confronto, sostegno ed una silenziosa consapevolezza di non appartenenza al mondo esterno si sovrappongono. Il tutto per formare un quadro umano intenso ed un viaggio infinito nei numerosi significati assunti dall’amore.
Un mondo d’amore
Ecco, grazie a questo nucleo spesso sconclusionato all’interno del quale il perbenismo borghese trova una netta resistenza, abbiamo imparato quanto sia possibile nutrire e accudire attraverso il cibo e una tavola apparecchiata. Un elemento, questo, che nella cultura italiana ha sempre assunto un’importanza aggregante ma solo per lo stretto nucleo famigliare di consanguinei. In questo caso, invece, il significato attribuito al momento e allo spazio è molto più ampio.
Per la prima volta la tavola è lo spazio aperto agli altri, a persone che non vengono considerati ospiti ma membri attivi e partecipi di un gruppo affettivo ben preciso. In questo senso, dunque, la parola amico ha iniziato ad assumere un significato diverso eludendo l’aspetto esclusivamente ludico ed abbracciando quello più complesso della riconoscibilità e del sostegno. Così, anche attraverso la misteriosa ricetta delle polpette di Massimo, una generazione ha imparato a ridefinire il significato di famiglia andandolo ad alleggerire di qualsiasi altra accezione che non sia l’amore. E non è certo cosa da poco. Soprattutto per un film.
Due destini
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