Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di Auschwitz, confrontandosi con l’orrore. Dal 2006 quella stessa data è diventata il Giorno della Memoria in cui si ricordano tutte le vittime della Shoah, sperando che il racconto non perda forza, anche grazie ai film diventati megafono di una coscienza globale.
Credo che la mia, quella degli ultra quarantenni per essere più chiari, sia l’ultima generazione ad aver goduto dei racconti dei propri nonni, capaci di ricondurre vicende storiche dalla potenza universale a degli eventi fortemente personali. In questo modo, tra un pranzo di Natale e un pomeriggio trascorso in una cucina inondata dal profumo di un ciambellone, la Seconda Guerra Mondiale e le sue nefandezze hanno assunto la concretezza di corpi, identità e, soprattutto, volti dei così detti protagonisti oscuri.

Foto di Cadir Celep su Unsplash
La Storia e le storie
È per questo motivo, dunque, che per me, insieme al bombardamento di San Lorenzo, la retata a via Rasella e il dolore di via Tasso, anche l’Olocausto ha sempre rappresentato qualche cosa di più personale di un evento raccontato sui libri per cui provare un giusto e doveroso sdegno. Non che abbia colpito personalmente la mia famiglia, ben inteso, ma, in qualche modo, ci ha sempre camminato accanto risuonando nei racconti intrisi di paura e spirito di sopravvivenza, di chi ha trascorso la giovinezza a fuggire una condanna a morte dettata dalla sua appartenenza religiosa.
Giorno della memoria il potere del racconto
È così, che ogni gennaio, nel momento in cui si avvicina il 27, giornata dedicata alla memoria delle vittime della Shoah, la mia mente corre indietro alla fine degli anni settanta. E, come per magia, mi ritrovo poco più che bambina, all’interno di un negozio di abbigliamento nel cuore del rione Monti a Roma, dove tutto sembra profumare di legno e confetti. Vedo le mani agili e affusolate di un uomo gentile e sorridente piegare con una delicatezza quasi poetica la carta velina intorno agli indumenti acquistati dalle sue clienti.
Le voci di Roma
Tutto richiama alla mente un piccolo mondo fatto di armonia e pace, dove eravamo accolte con allegra affettuosità e mia mamma veniva chiamata Maria mia. Per creare quell’oasi magica, però, Marco, l’uomo dalle mani affusolate e dal sorriso dolce, ha dovuto impegnarsi un bel po’, soprattutto per sopravvivere. Così, seduta su un divanetto mentre le donne della mia famiglia sceglievano e acquistavano degli indumenti, dalla sua voce cadenzata e priva di risentimento ho scoperto che era esistito un tempo in cui delle persone hanno dovuto fuggire e nascondersi, facendo leva sulla coscienza degli altri e su una buona dose di fortuna per poter conquistare il futuro.
E sempre attraverso la sua esperienza personale ho ascoltato le vicende di famiglie intere che non ce l’hanno fatta. Persone di cui il rione ha recuperato la memoria grazie a delle pietre d’inciampo poste di fronte le loro abitazioni.

Foto di Eelco Bohtlingk su Unsplash
Oggi, però, questi racconti resi tangibili e concreti dalla voce dei diretti interessati stanno svanendo. Nonostante il destino abbia, in qualche modo, ricompensato i sopravvissuti all’Olocausto con delle esistenze molto lunghe, lentamente ci stanno abbandonando e, con loro, è come se stesse diventando sempre più fioca anche la prova concreta che l’orrore è accaduto e potrebbe tornare.
Mai dimenticare
Come mantenere, dunque vivo il ricordo, soprattutto per le generazioni più giovani che, privati di queste narrazioni, non riescono a dare agli eventi un significato personale? La soluzione è mantenere viva la narrazione quanto più possibile con tutti gli strumenti culturali messi a disposizione come, ad esempio, il cinema. Per questo motivo, per celebrare a modo mio la Giornata della memoria, provo a evidenziare almeno quattro pellicole essenziali per non aiutano a comprendere ma a sentire tutta la violenza insensata dell’Olocausto.
Ascolta “Giornata della Memoria. Oggi e sempre” su Spreaker.
Giorno della Memoria, al cinema
Anna Frank e i bambini della Shoah
I miei genitori non hanno mai esercitato nessun controllo sui libri cui mi sono avvicinata da bambina. D’altronde per loro la lettura è sempre stata un esercizio di libertà e autodeterminazione. Oltre a questo confidavano sulla mia consapevolezza della loro disponibilità per dissipare dubbi ed eventuali incertezze.
Per questo motivo, dunque, quando avevo più o meno dieci anni, mi ritrovai tra le mani Il Diario di Anna Frank che, insieme al film visto nello stesso periodo durante un passaggio televisivo, mi ha traghettato all’interno di un angusto sottotetto di Amsterdam per comprendere la potenza distruttiva di una persecuzione che ha avuto l’ardire di togliere il futuro a chi, per età, non può che pensare al domani.
Cara Anna…
Quello che colpisce maggiormente, sia nelle pagine del libro che nelle immagini del film in bianco e nero, realizzato dal regista George Stevens, è la vitalità della giovinezza che, nonostante la situazione, riesce a mantenere in vita la lievità dei toni e dell’anima di chi, comunque, spera nel mondo. Quando Anna entra in clandestinità con la sua famiglia nel 1942 è poco più di una ragazzina con una personalità vivace ed uno sguardo sul mondo incredibilmente acuto.
Nonostante tutto sembra quasi che le leggi razziali in Olanda non abbiano intaccato la sua capacità di gioire e provare emozioni. Per questo motivo, quando le pagine del suo diario s’interrompono improvvisamente e le immagini del film mostrano quell’attimo sospeso in cui tutto muta per sempre, sentiamo una fitta al cuore per quella giovinezza brutalizzata e quell’innocenza cancellata.
L’Olocausto dei bambini
Se il film di Stevens si costruisce sull’attesa dell’inevitabile senza introdurci visivamente nella brutalità dei campi, Il bambino con il pigiama a righe non fa nessun tipo di sconto in questo senso. Tratto dal romanzo omonimo di John Boyne, il film ci trasporta nel fango, nel freddo e nella malnutrizione dei campi di concentramento.
E non basta certo l’incontro tra due bambini, uno deportato e l’altro figlio di un generale nazista, a sollevare gli animi. Indubbiamente agli occhi dei più giovani le differenze religiose, sociali e culturali non hanno alcun senso di esistere. Per questo motivo l’integrazione e l’amicizia passa anche attraverso l’immedesimazione con l’altro, la conoscenza del suo mondo fino a condividerne il momento della morte.
Un film, dunque, fortemente sensoriale che, soprattutto nelle ultime scene dalla camera a gas, lascia senza respiro lo spettatore, facendogli provare orrore, disperazione e paura. Tutto condensato in pochi, interminabili minuti in cui il respiro sembra mancare. Ma è un’esperienza necessaria per sentire l’Olocausto non solo come un’esperienza fatta di parole altrui.
La lista di Schindler per un Train de vie
Non è possibile parlare del Giorno della Memoria senza far riferimento al film di Steven Spielberg, Schindler’s List. Quest’opera non solo ha rappresentato un punto di non ritorno artistico per le scelte cromatiche del bianco e nero, squarciato dal rosso vermiglio del cappottino di una bambina, ma, soprattutto, concede una tregua temporanea.
Tutti sanno che la vicenda gira intorno alla figura tanto discussa da Oskar Schindler, un imprenditore filonazista che, a un certo punto, comincia a dissentire con le leggi razziali e decide di iniziare a proteggere molti ebrei inserendole nella sua famosa lista per garantire salvezza dalla deportazione.
Al termine del conflitto mondiale, però, viene ricercato per le simpatie mostrate nei confronti del regime. A salvarlo, questa volta, sono i suoi stessi operai che firmano una lettera in cui testimoniano gli sforzi fatti per metterli al sicuro. Oltre a questo, poi, gli viene consegnato un anello con incisa una citazione tratta dal Talmud che ci ricorda che chi salva una vita salva il mondo intero.
Nonostante il finale di speranza, però, questa vicenda non vuole assolutamente edulcorare gli eventi della Shoah ma, piuttosto, mostra alle nuove generazioni l’importanza delle decisioni personali e di come la coscienza di un uomo solo possa fare la differenza di fronte all’ottusità di un pensiero comune.
Un treno per la vita
Chiudo questa breve lista con Train de vie, un film che racconta il sogno della salvezza raggiunta non come singolo ma come comunità. La storia, infatti, vede un intero villaggio dell’est Europa organizzarsi per contrastare le sempre più concrete minacce da parte dei nazisti. Per questo motivo, dunque, decidono di mettere in scena una vera e propria deportazione con tanto di treno piombato e finti nazisti. Tutto, pur di raggiungere indenni il confine con la Russia e dirigersi verso la Palestina.
Ovviamente, questo viaggio della speranza non è privo d’inconvenienti, soprattutto all’interno della comunità. Con sorpresa, ma poi non molta, le divisioni tra vittime e carnefici si fanno sentire andando oltre l’atmosfera di chiara finzione. Tutto questo per dimostrare che basta veramente poco perché i ruoli cambino drammaticamente. D’altronde la natura umana è fragile e facilmente soggetta al fascino del potere. Anche quello di una divisa che inneggia alla morte.
Segui Smack!
Non dimenticarti di seguire Smack! – Blogzine per donne croniche su Facebook. Metti mi piace alla nostra pagina! Iscriviti anche alla nostra Newsletter cliccando sul form in Homepage oppure qui.
Lascia un commento