Perché è così difficile far andare d’accordo donne e politica in Italia? Da oggi 24 gennaio si svolgeranno le votazioni del prossimo Presidente della Repubblica. Un evento che, oltre ad aver dato inizio alla solita danza di nomi più probabili, ha sollevato un nuovo interrogativo: non sarebbe il caso di vedere finalmente una donna al Quirinale? A farsi portavoce di questa richiesta un gruppo ben nutrito d’intellettuali capitanate da Dacia Maraini, pronte a reclamare un ruolo politico di primo piano per il mondo femminile.
A dire il vero queste richieste di equiparazione a tutti i costi, però, mi hanno sempre lasciato piuttosto dubbiosa. Più che alle quote rosa, infatti, ho sempre preferito credere a una conquista meritevole. È pur vero che in una società come la nostra, strutturata ancora saldamente sulla predominanza maschile, soprattutto in ruoli centrali, sperare nella meritocrazia è pura utopia. Allo stesso tempo, però, non credo che la richiesta di una personalità femminile al colle sia efficace senza una candidata effettivamente valida.

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Donne e politica, gli esempi virtuosi
Così, riflettendo su quale personalità della cultura e della politica possa adempiere a questo ruolo, la mia mente si è soffermata esclusivamente sul nome della senatrice Liliana Segre. L’unica, a mio avviso, ad avere la cultura e la struttura etica per ricoprire la carica di Presidente della Repubblica. Oltre a questo sarebbe un segnale molto forte per arginare nuovi e sempre antichi rigurgiti dal sapore dittatoriale. Questa elegante e forte signora, che nemmeno una deportazione ad Auschwitz è riuscita a piegare, però non ci pensa proprio a correre per il colle. Detto questo, dunque, torniamo al problema centrale: quale personalità femminile oggi ha la caratura, il passato politico, la sostanza e la forza per assumere il ruolo di rappresentate dello Stato e di garante della Costituzione?
Perché se è vero che il Presidente della Repubblica non ha effettivi poteri esecutivi, ha il compito d’incarnare di fronte al mondo un’identità nazionale. E non è certo questione da poco, soprattutto per una donna cui verrebbe chiesto di avere una personalità e dei contenuti più strutturati di qualsiasi uomo. Ovviamente non si tratta di un’impresa impossibile e a dimostrarlo sono tutte le donne che, nel corso di questi anni, sono riuscite a conquistare una posizione di comando nel proprio paese. Proviamo a conoscerne qualcuna.

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Donne e politica
L’autonomia antifemminista di Golda Meir
“Ho imparato a sparare, naturalmente, ma non mi è mai capitato di uccider qualcuno. Lo dico senza sollievo: non v’è alcuna differenza tra uccidere e prendere decisioni per cui mandi gli altri a uccidere. Proprio la stessa cosa. E forse è peggio”. Così Golda Meir descrisse la difficoltà del comando a Oriana Fallaci durante un’intervista. Un ruolo che, almeno in apparenza, non sembrava pesarle ma, da queste parole, si comprende che la realtà era ben diversa.
D’altronde, per dimostrare di essere la persona giusta per ricoprire il ruolo di primo ministro di Israele, la Meir ha dovuto esibire solamente cinquant’anni di esperienza politica ed un carattere coriaceo. Il suo biografo l’ha descritta come una donna testarda, inflessibile ma, al tempo stesso, calorosa e disponibile.
Caratteristiche che sembrano non dialogare armoniosamente tra di loro ma che, a conti fatti, hanno definito la personalità di quella che, ad oggi, è l’unica donna ad aver raggiunto questa carica politica nello stato d’Israele. Considerati tutti questi aspetti della sua biografia, alcuni potrebbero giungere alla conclusione di arricchire il nome di Golda Meir con l’appellativo di femminista. Nulla di più errato. Anzi, per lei il concetto di emancipazione non era nemmeno considerabile visto che, dal suo punto di vista, ad essere discriminati dalla natura erano proprio gli uomini, incapaci di mettere al mondo figli. D’altronde, quando una donna è sicura di ciò che è non ha bisogno di rincorrere una mascolinizzazione a tutti i costi.
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Lo spirito rivoluzionario di Mary Robinson
In quanti conoscono il nome di Mary Robinson? Probabilmente non in molti ma non credo che per questa signora irlandese la fama abbia mai rappresentato un problema. Nonostante questo, invece, la sua è una storia che dovrebbe essere raccontata alle più giovani, non tanto per i successi ottenuti, ma per il caparbio impegno dimostrato per rispettare se stessa e la propria visione della società. La Robinson ha sempre dimostrato di avere una personalità forte e definita che, già in giovane età, l’ha spinta ad andare oltre le convinzioni e le convenzioni, sposando un protestante pur essendo cattolica.
Un vero affronto per una società Irlandese del 1970. Diventata avvocato, poi, ha continuato a lottare con la stessa tenacia contro le ingiustizie e le discriminazioni, senza dimostrare cieca fedeltà al partito di appartenenza nel momento in cui, per convenienza politica, calpestò i suoi principi. Non è un caso, infatti, che decise di abbandonare i laburisti dopo i patti anglo-irlandesi conclusi con Margaret Thatcher.
Da quel momento la Robinson si schierò saldamente accanto alle minoranze. Una lotta che, nel 1990, le è valsa la nomina a Capo di Stato d’Irlanda. Un ruolo che ha ricoperto per sette anni per poi diventare guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Nonostante il suo impegno nel 2002 ha abbandonato la carica accusando gli Stati Uniti d’importanti violazioni dei diritti umani durante la guerra al terrorismo.
Una scelta che mostra chiaramente come la Robinson non ha mai accettato mezze misure e compromessi. Caratteristiche che ancora oggi la rendono una combattente in prima linea per la difesa dei gay, delle donne e di tutti gli oppressi, tanto da fargli guadagnare la medaglia per le libertà durante la presidenza di Obama.
Donne e politica
La rivalsa di Michelle Bachelet
Per il Cile di Pinochet lei era un soggetto da eliminare o, nel migliore dei modi, da tenere in ombra fino a rendere inconsistente la sua stessa esistenza. Figlia di un militare contrario al golpe del 1973 ai danni di Salvador Allende, ha pagato in prima persona nonostante i suoi pochi anni. Con la madre, infatti, è stata imprigionata e torturata dal regime.
Così, quando nel 2006 è riuscita a vincere le elezioni diventando Presidente del Cile, non ha rappresentato solamente il femminile che assume il controllo in una società culturalmente maschilistica, ma, soprattutto, la rivalsa di tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il peso della dittatura.
Il Cile libero, quello che sempre si è opposto a Pinochet, nonostante il pericolo di morte che aleggiava sui dissidenti. Grazie alla sua elezione acquista nuova voce e si riconosce nei ricordi drammatici della Bachelet. I suoi due mandati, il primo terminato nel 2010 e il secondo iniziato nel 2014, hanno dato forza e maggior definizione alla sinistra cilena, che ha continuato a trionfare con l’elezione di Gabriel Boric.
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