C’è un momento nella vita di ognuno in cui alcuni aspetti del mondo sembrano svelarsi solo ai nostri occhi. Il risultato è che ci sentiamo quasi parte di una società segreta di fortunati eletti destinati alla conoscenza. Io ho vissuto questo stato durante gli anni dell’università. Era il tempo dei primi viaggi con l’Erasmus e il cinema d’essai andava ancora di gran moda. In uno di questi, in una serata d’inverno, ricordo di aver incontrato per la prima volta il cinema di Pedro Almodovar e di aver ricevuto una scossa emotiva che ancora non mi abbandona.
Da quel momento sono rimasta sedotta dal suo mondo colorato e barocco, da quella femminilità, dove il sentimento è sempre espresso, anche nei suoi eccessi. E il giudizio non esiste perché tutte abbiamo il diritto di essere donne sull’orlo di una crisi di nervi.
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Pedro Almodovar, l’evoluzione di un autore
Nel corso del tempo, però, Pedro Almodovar ha iniziato a utilizzare i suoi colori in modo più intimo per rendere evocativo il racconto dell’anima. Di pari passo, anche i ritratti di donna sono cambiati, pur mantenendo quell’elogio dell’emozione che nel suo cinema trova un luogo naturale dove esprimersi. Senza falsi pudori ammetto di sentirmi ancora oggi fortemente rappresentata da questo tipo di narrazioni dove la ragione non sembra proprio trovare spazio.
Più di ogni altra cosa, poi, a toccare le corde del mio interesse è il ritratto della maternità cui, di volta in volta, Pedro aggiunge un tassello. Non è un caso, dunque, che il suo ultimo Madres Paralelas si immerga in questa condizione esclusivamente femminile attraverso volti diversi che, in qualche modo riassumono le madri raccontate fino a questo momento.
Manuela, Alicia, Sole e le altre: le madri di Almodovar
Quando si parla delle madri di Almodovar il primo titolo che viene alla mente è proprio Tutto su mia madre, un viaggio emotivo nel cuore della maternità imperfetta che ha scardinato, per primo, il concetto di perfezione forzata. Fanno seguito Parla con lei e Volver con cui si definisce con maggiori sfaccettature l’archetipo narrativo della madre. Manuela vede morire il figlio diciassettenne durante una notte piovosa. Alicia si risveglia dal suo lungo sonno grazie ad una maternità improvvisa e violenta. Sole, invece, è una madre single che cerca di fare i conti con il fantasma fin troppo reale della madre per crescere una figlia più consapevole.
In tutti i casi si tratta di donne che, per ragioni diverse, si trovano ad affrontare la loro maternità in assenza di uomini. In questo modo Pedro Almodovar mette in evidenza come il mondo maschile sia fondamentalmente alieno a quello femminile. Incapace di carpirne fino in fondo i segreti e i lati più interiori.
Uomini alieni
Attraverso il suo sguardo, che riassume tutto l’innamoramento di un figlio, la donna riesce a trovare forza sia nell’assenza sia nella presenza di una maternità, purché la scelta la rappresenti. Agli uomini che le sfiorano momentaneamente, invece, non offre grandi possibilità di redenzione. Nel migliore dei casi si assumono il peso finale delle loro scelte. Nel peggiore, invece, non rimane che perire schiacciati dalla loro stessa mediocre violenza. In sostanza, dunque, Almodovar ci rimanda l’immagine di una maternità non sempre voluta e canonica ma affrontata, con quell’innato spirito di sopravvivenza che ti rende spettinata e carnale come Sole.
Janis e Ana, le madri parallele
Nel suo ultimo film, però, Almodovar dimostra di aver raggiunto un maggior grado di maturità. Il suo sguardo, infatti, si fa ancora più inclusivo e senza mezzi termini, apre alle mille possibilità di maternità. Anche a quelle che la escludono. Le sue donne, infatti, si trovano ad affrontare l’evento in modo inaspettato. Ancora una volta sono sole, ma non è un dramma. La questione sul tavolo, infatti, non è quella relativa all’assenza di una famiglia tradizionale. Anzi, mai come in questo caso, il nucleo non è consanguineo e l’amore non nasce da una condivisione del DNA.
Le nuove madri
Con Madres Paralelas, infatti, Almodovar amplifica il concetto e con la parola maternità si fa riferimento anche all’appartenenza con la propria terra che custodisce nelle sue profondità i corpi dei figli dispersi e rifiutati. Quello, però, che rende realmente preziosa questa pellicola è lo spazio lasciato a Teresa. Madre di Ana e attrice, esprime, con assoluta onestà, la sua incapacità a sostenere il ruolo nella vita reale, dando voce a tutte quelle donne che, la consuetudine culturale e sociale, ha fatto sentire sbagliate. Pedro Almodovar lo chiarisce più che mai.
La maternità è possibile in ogni occasione e condizione, ma anche al non essere madre viene offerta le stessa possibilità. E il giudizio rimane sospeso. Anzi, completamente assente. Perché l’assenza di perfezione è una condizione che è insita in ognuno di noi e, per questo, assolutamente normale.
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