Il prossimo 3 novembre Monica Vitti compirà 90 anni e la Festa del Cinema di Roma ha deciso di ricordare l’evento con il documentario Vitti d’arte, Vitti d’amore di Fabrizio Corallo. Un progetto in cui la parola d’ordine è proprio “ricordare”. Perché se da qualche anno Monica ha perso contatto con il suo passato e con la donna che è stata, è un dovere di tutti quelli che l’hanno amata non lasciar sbiadire la magia della sua essenza.
Il ricordo, dunque, è un dovuto atto di riconoscenza verso una creatura straordinaria che insegnato alle donne come essere belle, ironiche e divertenti. Senza mai prendersi troppo sul serio, ovviamente.
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Vitti d’arte e d’allegria
Perché in un periodo in cui tutte volevano essere delle dive, delle creature dall’avvenenza quasi mitologica, Monica decide di essere buffa e lo fa senza perdere minimamente la sua grazia. Con chiarezza e una profonda conoscenza di se, porta sul grande schermo un numero infinito di donne, concedendosi il lusso di essere fragile, divertente, insicura eppure forte.
Grazie a lei hanno trovato corpo e sostanza le fioraie come Adelaide e le ragazze con la pistola dalla lunga treccia. Ma abbiamo visto anche Ninì Tirabusciò inventare la famosa mossa, ascoltato Tosca mentre insegue il “suo bel levriero” Cavaradossi e la soubrette Dea Dani cercare la Polvere di Stelle in una scalcinata compagnia nell’Italia della Seconda Guerra Mondiale.
In sostanza una, cento mille volte Monica. Ognuna di loro ha avuto la capacità di parlare a una parte del pubblico, sussurrando, con quel timbro di voce roco unico e inconfondibile, il segreto per vivere con leggerezza nonostante tutto.
Monica Vitti e il suo dolce femminismo
Il documentario di Corallo segue una struttura molto classica che vede un’alternanza d’immagini di repertorio a degli interventi di colleghi e amici dello spettacolo. Nulla di rivoluzionario o nuovo, almeno per quanto riguarda la narrazione. Questa semplicità, però, si adatta alla perfezione a una donna come Monica Vitti che, dentro e fuori il set, non ha mai ceduto al gusto dell’orpello e dell’autocompiacimento.
Il suo, infatti, è stato un talento indiscutibile ma mai aggressivo. Evidente a tutti eppure mai sfacciato. In questo modo, utilizzando le armi della grazie e dell’ironia, è riuscita a conquistare il titolo di colonnello della risata, confrontandosi faccia a faccia con Alberto Sordi, Nino Manfredi, Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.
Come Carlo Verdone ricorda in un intervento all’interno del documentario, Monica può essere considerata come la sostenitrice di un dolce femminismo che, senza essere violento o militante, è riuscito a trasformarla nella regina indiscussa della commedia. Bella, aggraziata e con la stessa carica ironica di Tina Pica. Così Mario Monicelli parla di lei da un filmato di repertorio. In questo modo ce la consegna il cinema e non è un caso che, ancora oggi, rappresenti uno dei volti femminili più potenti e amati del grande schermo.
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La mia Monica
Se da ragazzina mi avessero chiesto a quale attrice desiderassi somigliare, la mia risposta sarebbe stata sempre e solo Monica Vitti. Complice la passione di mia madre per il cinema, sono cresciuta a stretto contatto con il suo inesauribile senso dell’ironia e da lei ho appreso il potere di una risata. Lo stesso che ti permette, usando intelligenza e sagacia, di sostenere un faccia a faccia con il mondo maschile ad armi pari.
Grazie a lei, poi, ho compreso che l’intelligenza non esclude la bellezza, che avrei potuto coltivare la femminilità e la mente di pari passo. E, per finire, acanto a lei ho scoperto che una donna può rivendicare il diritto di urlare Sì, amo riamata e lo appartengo senza sentirsi privata della sua autoconsapevolezza.
Ecco, per me Monica Vitti è stata e continua a essere l’essenza stessa dell’autonomia e dell’indipendenza che esula da qualsiasi tipo di dogma concettuale. Un modello di femminismo tanto inconsapevole quanto costruttivo e positivo. Una donna che ha avuto sempre il dono dei tempi giusti non solo in scena ma, soprattutto, nella vita. Tanti auguri Monica.
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