Il mese di ottobre da molto tempo si tinge di rosa grazie, soprattutto, all’organizzazione della Race of Cure e all’attenzione dedicata alla prevenzione dei tumori del seno. Oltre a questo, però, sul calendario si deve evidenziare un giorno particolare in cui l’attenzione internazionale è spostata completamente sulle condizioni di “salute” del futuro delle donne di domani. Il riferimento non casuale è all’attività promossa dall’UNICEF che, l’11 ottobre, celebra proprio quella che viene definita la Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze.
Lo scopo di quest’appuntamento annuale è di focalizzare la discussione sulla condizione delle giovani donne da un punto di vista sociale, educativo, sanitario e culturale. In sostanza, dunque, la domanda sul tavolo è soprattutto una: a che punto si trova l’evoluzione del mondo femminile e quali prospettive di vita si prospettano per le bambine e le ragazze?
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Foto di Melissa Askew su Unsplash
Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze, a che punto siamo?
La risposta, ovviamente, non è positiva, come hanno chiaramente dimostrato gli ultimi drammatici eventi accaduti in Afghanistan. O, almeno non lo è, soprattutto per chi vive in determinati paesi del mondo dove la figura della donna è relegata nell’ombra e soggetta a violenze e abusi. Certo, alcuni potrebbero obiettare sull’efficacia di queste singole giornate celebrative.
In un solo giorno, infatti, si accendono i riflettori sulla condizione dell’infanzia al femminile, si organizzano confronti e vengono messi sul tavolo una serie di buoni propositi. Dopo di che, spente le luci celebrative, dal giorno dopo l’attenzione viene spostata su altre tematiche lasciando quel mondo femminile a confrontarsi con i limiti e l’arretratezza della società in cui vivono.
O, almeno, è cosi per la maggioranza delle persone. Fanno eccezione quelle istituzioni e i singoli che hanno fatto della salvaguardia delle bambine e delle ragazze una ragione di vita. Alla base di questo sottile disinteresse di massa, però, c’è la convinzione che il problema sia lontano, distante da noi. Un male che appartiene solo agli altri e che possiamo osservare con compassionevole distacco? Ma siamo sicuri di questo? Nell’avanzato occidente le bambine e le ragazze sono al sicuro da minacce fisiche e culturali? La risposta non è così scontata
Le bambine d’occidente
Storicamente siamo abituati a pensare che le maggiori violenze, come la mutilazione genitale e i matrimoni precoci, siano realtà presenti in alcune zone specifiche come la Nigeria, il Medio Oriente e una parte dell’India. Un fatto confermato proprio dei dati dell’UNICEF che, negli ultimi anni, ha registrato un leggero calo di questi abomini, anche se l’andamento è ancora lento. Dato per certo questo, però, anche il mondo occidentale e, in particolare, l’Europa mostrano dei segni allarmanti.
Negli ultimi anni, infatti, sono nettamente aumentate le violenze sessuali su ragazze tra i 15 e i 19 anni, mentre il flusso migratorio ha evidenziato i pericoli cui sono esposte bambine e adolescenti in fuga dalla Libia senza alcuna protezione da parte delle famiglie di origine. Si tratta di soggetti quasi invisibili per le diverse organizzazioni e che si muovono attraverso le rotte migratorie più pericolose d’Europa.
Se andiamo a studiare le percentuali, queste bambine non sono mai state registrate e, di fatto, non sono considerate come soggetti in pericolo. Eppure lo sono. La minaccia più grande per il loro futuro è, ovviamente, la prostituzione minorile. Un male che unisce trasversalmente diverse parti del mondo, senza nessuna distinzione per livello culturale.
La cultura per mondo a misura di bambine
Dato per scontato l’interesse dell’UNICEF sul futuro delle donne di domani, come si può, oggi, costruire un mondo a misura di bambine? La risposta è solamente una: attraverso cultura e conoscenza. Girl Rising, ad esempio, è un’associazione che si batte proprio per garantire alle bambine e alle ragazze di tutto il mondo il diritto allo studio come elemento essenziale e fondamentale per migliorare la propria vita, costruire una prospettiva di futuro e comprendere l’effettivo valore della propria persona.
Questa battaglia, ormai da molti anni, è sostenuta da Michelle Obama che, prima di diventare First Lady, è stata una bambina di Chicago, cresciuta in una famiglia di colore appartenente alla working class. Il che, tradotto in prospettive future, voleva dire una possibilità molto bassa di successo. Nella sua vita, e in quella delle ragazze che oggi sostiene con le sue associazioni, a fare realmente la differenza è stata la cultura.
La conoscenza, però, non deve agire solo in modo didattico ma è uno strumento importante con cui abbattere gli stereotipi di genere che ora vanno ben oltre la divisione tra ragazzi e ragazze. Per questo motivo l’UNICEF si è fatto promotore del progetto europeo Education for Equality – Going Beyond Gender Stereotypes. L’obiettivo è di promuovere una didattica inclusiva lavorando con i bambini e le bambine della scuola d’infanzia e primaria sul significato di discriminazione. Pensate sia troppo presto sottoporre i bambini a concetti così complessi? Nulla di più errato. Il futuro si deve costruire subito.
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