Alcuni giorni fa ho scoperto un dato relativo la presenza femminile alle Olimpiadi che mi ha colpito. Sembra, infatti, che le donne furono inizialmente escluse dai giochi moderni, entrando nella competizione solo il 13 luglio 1908. A stabilire questo dato negativo è stato lo stesso De Coubertin.
In nome di cosa? Ovviamente di quella divisione di ruoli sociali che voleva la donna angelo del focolare e non soggetto di glorie sportive. Fortunatamente il concetto di fragilità fisica e inadeguatezza caratteriale è stato spazzato via, almeno nello sport, dalle molte medaglie vinte e record segnati dalle atlete di tutto il mondo, proprio ai giochi Olimpici.
Nonostante questo, però, è come se, sottilmente passasse ancora il concetto che lo sport, declinato al femminile, sia di serie B rispetto a quello maschile. Nulla di più errato. E, per dimostrarlo, a poche ore dalla cerimonia ufficiale delle Olimpiadi di Tokyo, mi sono riproposta di ricordare le donne che ci hanno fatto battere il cuore per le loro gesta atletiche.
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Foto di Sam Balye su Unsplash
Olimpiadi, Paola Egonu, portabandiera italiana
Prima di addentrarci nel passato, però, è necessario dare uno sguardo al futuro prossimo, anzi quasi presente. La pallavolista da record Paola Egonu, infatti, sarà una dei portabandiera italiani durante la sfilata di inaugurazione. Un onore che la Federazione le ha attribuito considerando i suoi meriti sportivi ma anche il messaggio di integrazione che un’atleta come la Egonu porta con sé.
Inutile dire che il colore della sua pelle rappresenta per il mondo dello sport un salto nel futuro, ed un modo per scrollarsi di dosso le accuse di razzismo sempre dietro l’angolo. Tutto questo, però, è assolutamente irrilevante perché Paola Egonu merita gli onori della gloria per i suoi record sotto rete. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che è stata capace di mettere a segno ben 47 punti vincenti in un solo match, andando a vincere il campionato.
Nonostante tante vittorie, però, anche solo l’idea di rappresentare tutti gli atleti italiani alle Olimpiadi di Tokyo ha fatto tremare le gambe ad una donna abituata a vincere. Alla sola prospettiva di una proposta di Malagò, infatti, Paola ha reagito con queste parole: «Sarebbe fantastico, un onore pazzesco, poi potrei morire anche subito! Mi piacerebbe prendermi sulle spalle questa responsabilità, davvero: io, di colore, italiana e la bandiera. L’ignoranza e certe cose del passato hanno bisogno di un taglio netto. Sono pronta. Facciamola questa rivoluzione!».
E che rivoluzione sia.
Sara Simeoni e Nadia Comaneci, le ragazze degli anni ’70
Durante le mie prime esperienze sportive alle scuole elementari, ricordo con una certa apprensione l’ora di educazione fisica. In quegli anni, infatti, tutti sembravano essere ossessionati dai rudimenti di atletica e di ginnastica artistica. Ed io non mostravo attitudine in nessuna delle due discipline. Perché, però, ci si accaniva così tanto su travi e salti in alto?
Semplice, la colpa era tutta di Sara Simeoni e Nadia Comaneci. Ma, chi erano queste due ragazze? La domanda potrebbe essere legittima, soprattutto da parte delle più giovani. Bene, presto detto, Sara e Nadia erano due atlete che, dalla fine degli anni Settanta all’inizio degli Ottanta, hanno fatto sognare il mondo sportivo.
Nadia e il 10 perfetto alle Olimpiadi
Nadia, direttamente dalla Romania, attira su di sé l’attenzione degli appassionati di ginnastica quando, a soli 14 anni, vince la medaglia d’oro alla trave durante i giochi di Montreal. Da quel momento la sua carriera è stata costellata da altri traguardi e molti record che l’hanno fatta entrare di diritto nella Hall of Fame tra i migliori atleti del XX secolo.
Lovely Sara
Sara, invece, è un orgoglio tutto italico. Probabilmente, anzi, sicuramente, non ha collezionato il palmares di Nadia, ma, quando alle Olimpiadi di Monaco vince la medaglia d’oro per il salto in alto, tutti si identificano con quelle lunghe gambe da airone. Anche e soprattutto, le i insegnanti di educazione fisica, costringendo una generazione di ragazzine non ugualmente dotate a confrontarsi con lo spauracchio dell’asticella.
Giovanna Trillini, una spadaccina tutta d’oro
Quando si parla di medaglie olimpiche, almeno quelle italiane, però, il pensiero corre immediatamente alla scherma femminile e al nome di Valentina Vezzali. È indubbio che, con le sue nove medaglie, di cui sei ori, si aggiudica di diritto il titolo di schermitrice più premiata. Nonostante questo, però, oggi voglio ricordare l’impresa di un’altra fiorettista che, in una stagione non propriamente felice per il nostro paese, è riuscita a farci riunire in un moto di orgoglio sportivo.
La protagonista di questa avventura è Giovanna Trillini, mentre lo scenario è quelli delle Olimpiadi di Barcellona. Correva l’anno 1992. L’inno dei giochi ha gli echi roboanti e coinvolgenti della voce di Freddy Mercury in coppia con il soprano Maria Montserrat Caballé che celebrano l’inizio di una nuova stagione per la Spagna.
Barcellona, Italia e le Olimpiadi del sogno
Nel nostro paese, invece, il futuro non sembra altrettanto positivo. Ad aggravare ancora di più la pesantezza è un’estate costellata dalle morti di Falcone e Borsellino con i ragazzi delle loro scorte. Ricordo il senso di pesantezza e sconfitta di quei momenti. Di sicuro ci presentiamo ai giochi Olimpici senza sentirci vincenti.
Ed, effettivamente, passano i giorni e la tanto attesa medaglia d’oro sembra non voler arrivare. Fino a quando il 30 luglio a Palacio de la Metalurgia, Giovanna Trillini scende in pedana per giocarsi il tutto per tutto in una finale quasi impossibile da vincere contro la cinese Huifeng Wang. L’impresa e ardua non per una disparità tecnica ma a causa del vistoso tutore che appesantisce il ginocchio della Trillini. Pochi mesi prima dell’inizio delle Olimpiadi, infatti, alla schermitrice viene diagnosticata una lesione al crociato. Questo vuol dire rinunciare ai giochi. Per tutti, forse, ma non per lei.
La cavalcata di Giovanna verso il podio, dunque, è epica e non priva di difficoltà. La sua resistenza fisica e quella concentrazione granitica, però, iniziano a far parlare giornalisti e spettatori che arrivano a riempire il palazzetto dello sport per assistere al miracolo sportivo.
Nel momento dell’ultima stoccata contro la cinese, gli spalti sono pieni di bandiere tricolori. Un’emozione incredibile, una vittoria indimenticabile perché considerata improbabile. Ricordo ancora l’euforia del primo oro, il grido liberatorio della Trillini e quel comune senso di sconfitta che si alleggerisce leggermente.
Flo-Jo, la donna più veloce di sempre
Voglio chiudere questa breve carrellata di medaglie in rosa con una storia composta da luci ma, anche, di alcune ombre. Si tratta della vicenda sportiva e persone di Flo-Jo, Florence Griffith Joyner, ricordata anche come la donna più veloce. L’epilogo della sua storia è drammatico, visto che muore a soli 38 anni, vittima di una crisi epilettica e affaticata dalle accuse, mai provate di doping. Prima di allora, però, Flo-Jo aveva ricevuto il plauso del pubblico e i più alti riconoscimenti sportivi.
Le Olimpiadi di Seul nel 1988 la vedono trionfare in pista per tre specialità, i 100 e 200 metri, oltre che per la staffetta 4 x 100 m. Come se non bastasse, poi, segna anche il record mondiale di velocità sempre per i 100 e i 200 m. Insomma, durante quell’Olimpiade, fu chiaro che Florence correva forte, anzi fortissimo. E lo faceva da una vita, probabilmente per sfuggire ad una condizione famigliare ed economica fatta di precarietà e difficoltà. Flo-Jo, però, è, forse, la prima atleta a colpire anche l’immaginario del costume.
Con le sue unghie lunghe, il trucco pop e i colori accesi del suo abbigliamento sportivo, si distingue dalle altre atlete. In pista, con lei, e come se scendesse tutto il suo background culturale. Il ghetto, la cultura popolare e la voglia di rivincita che l’hanno sempre spinta in avanti. A conti fatti la sua sarebbe dovuta essere una storia a lieto fine ma anche le favole sportive non sono tutte caratterizzate da happy ending. Nonostante le Olimpiadi ti abbiano incoronato dea della velocità.
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