Dal giorno in cui Sergio Japino ha annunciato la scomparsa di Raffaella Carrà, un’immagine, o meglio, un ricordo di me bambina continua a balenarmi nella mente. Credo di avere più o meno sette anni. Sono nella mia stanza e, con una fascia colorata tra i capelli e i miei grandi occhi neri, canto con veemenza “Tanti auguri“.
La canzone arriva da un giradischi portatile color aragosta ed io impugno, come se fosse un microfono, una piccola scopa di saggina, reperto di un saggio dell’asilo. “Com’è bello far l’amore da Trieste in giù. Com’è bello far l’amore, io son pronta e tu.” E ancora: ” Tanti auguri a chi tanti amanti ha“. Fino a lanciarmi in un acuto liberatorio quando arriva l’essenza, il vero messaggio di questa canzone: “E se ti lascia lo sai che si fa? Trovi un altro più bello che problemi non ha“.
Insomma, da sola nella mia stanza, e ancora lontana dagli affanni dell’adolescenza, davo voce a un vero e proprio manifesto dell’indipendenza femminile, musicato e reso fruibile ma, non per questo, meno potente. Certo, in quel momento non ne ero assolutamente cosciente, ma è un dato di fatto che, a colpi di “canzonette” e programmi televisivi, Raffaella Carrà abbia scritto pagine importanti della cultura popolare, fino a diventarne icona e regina assoluta. Forse per alcuni questa affermazione potrebbe sembrare eccessiva da attribuire a una “semplice” soubrette, ma la realtà dei fatti, dimostrata soprattutto dal dolore dei fan e dal giusto tributo della televisione di fronte la sua scomparsa, raccontano una storia più complessa e ricca di sottotesti interessanti.
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Raffaella Carrà, rivoluzione sì, ma con classe
Raffaella Carrà e riuscita a concretizzare e incarnare una rivoluzione femminile personale senza alcuna volontà di distruggere ed urlare. Anzi, le sue armi sono sempre state freschezza, modernità ed una seduzione chiara, ma mai aggressiva. Con la sua figura esile, carica di un sex appeal tutto giovanile, è riuscita ad entrare nei salotti di un’Italia culturalmente divisa tra Democristiani e Comunisti, santi e peccatori, facendo breccia in uno strato sociale in cui la TV di Stato stabiliva ancora una lista di parole proibite.
Quelle, per intenderci, che andavano ad offendere il comune senso del pudore. Di chi? Ovviamente dell’italiano medio e di quelle famiglie “perbene” che nella televisione vedevano il riflesso di un mondo perfetto. Almeno in apparenza.
La più amata dagli italiani
Raffaella, giovane ed inesperta, è riuscita ad inserirsi in questo percorso ad ostacoli. Apparentemente rispetta le regole ma, in realtà, le sovverte. Riesce ad avere la grande e naturale capacità di parlare a più generazioni. Dei ragazzi incarna il desiderio del cambiamento e l’indipendenza mentre, con il suo garbo, non spaventa i genitori più tradizionalisti. E lo ha fatto, almeno all’inizio della sua carriera, con l’eleganza di una femminilità mai nascosta o negata.
Perché, come ha ricordato Selvaggia Lucarelli in un post di questi ultimi giorni, Raffaella è stata tante cosa tra cui bellissima. In questo modo, dunque, una ragazzina di Bellaria è riuscita a trasformarsi nella più amata degli italiani, a dispetto di altre che reclamano il “titolo” per sé. La strada da percorrere, però, è stata lunga e caratterizzata da tappe importanti.
L’ombelico d’Italia
Inutile girarci intorno. Quando si parla di Raffaella Carrà è d’obbligo fermarsi a ricordare l’onda d’urto culturale che ha rappresentato il suo ombelico scoperto in prima serata su Rai 1. Certo, gli spettatori contemporanei, abituati ad una totale e sovrabbondante esposizione del corpo e dei sentimenti, potrebbero sorridere di fronte a questa affermazione. Eppure basta salire su una virtuale macchina del tempo e tornare indietro per comprendere quale incredibile passo avanti abbia rappresentato quella biondina con la pancia scoperta.
Quando Raffaella Pelloni esordisce in prima serata con Canzonissima è il 1970. Accanto a lei c’è Corrado, conduttore navigato e di grande ironia, ma gli occhi sono tutti per lei e per quell’ombelico che fa bella mostra di se, annunciando, in qualche modo, i tempi che verranno.
Nell’Italia che vede la nascita artistica della Carrà, infatti, il divorzio ancora non esiste e non è certo prevista una legge sull’aborto. Il diritto di famiglia, parlando in termini giuridici e sociali, contempla che la donna sia ancora soggetta al volere del marito, mentre la Rai ha da poco tolto le pesanti calze nere dalle lunghe gambe delle Kessler.
Insomma, un mondo lontano anni luce dal nostro, regolato da un perbenismo dilagante in cui, all’improvviso, arriva una ragazza a dimostrare che il corpo non è peccato e che mostrarlo è un semplice atto di autonomia.
Anche in questo, forse inconsciamente, Raffaella dimostra di essere molti passi avanti rispetto alla società in cui vive. Una dote che continuerà a mostrare anche successivamente. Nel corso della sua vita, infatti, è riuscita a vedere e sostenere attivamente il cambiamento ancora prima che accadesse con la sua schiettezza tutta romagnola.
Di caschetti biondi, lustrini, fagioli e carrambate
Quando si afferma che la Carrà abbia scritto una parte del costume italiano non si fa riferimento solo all’aspetto sociale e culturale ma anche a quello più modaiolo. Con il suo caschetto biondo, ottenuto nonostante ribelli capelli ricci, ha influenzato il look di un numero infinito di donne. Tutte, probabilmente, affascinate dal modo in cui veniva mosso durante le sue scatenate coreografie dal gusto iberico.
Allo stesso modo la storia della televisione italiana dovrà fare per sempre i conti con i suoi abiti di scena, che prendevano forma in perfetto stile Carrà. Lustrini, scenografiche farfalle e spacchi generosi. Raffaella non rinuncia a nulla. Osserva la moda ma non ne diventa schiava. È consapevole di avere un tocco personale, eccentrico forse, ma vincente perché naturalmente suo.
Mezzogiorno in TV
Quando, approda, poi a Pronto Raffaella, inventando il mezzogiorno italiano, modifica lo stile. Sa che il tempo del Tuca Tuca è passato e che il pubblico cui si rivolge è diverso. È diventata una signora ma non rinuncia ad essere Raffaella. E, ancora una volta, con il garbo e la naturalezza che la contraddistingue, conquista e affascina un paese intero, bloccato dal gioco dei fagioli e, soprattutto, dal desiderio di parlare con la Raffa Nazionale. Negli anni novanta, poi, è la volta di Carràmba che sorpresa.
Lei è sempre uguale a sé stessa ma, allo stesso modo, capace di trovare nuovi aspetti da mettere in gioco. In questo caso è l’empatia, l’educazione e quella risata che scoppia con naturalezza difronte allo stupore delle “vittime” delle sue sorprese. Per lei si organizza un flusso migratorio dall’America Latina dalle proporzioni bibliche. L’italiano partecipa e si commuove. Molto prima di qualsiasi C’è posta per te.
La trasmissione è un successo senza precedenti e si arriva, addirittura, a coniare un neologismo. La Carràmbata entra nel nostro linguaggio e con lei anche Raffaella, che sembra osservare tutto questo con innata ironia e senso del concreto.
Una vera regina del pop
Come già detto, la Carrà è stata molte cose, tra cui donna di misura che ha sempre rifuggito il cattivo gusto e il sensazionalismo.
Lo ha dimostrato nel modo leggero con cui ha affrontato l’avanzare degli anni. Senza piegare il corpo ad una eterna ed artefatta giovinezza, ma mantenendo viva la freschezza del suo animo. Per questo la sua presenza ha continuato a risuonare nelle canzoni di Tiziano Ferro o nei Remix di Bob Sinclair senza risultare desueta.
Ed è sempre per questo che oggi si continua ad affermare che Raffaella continuerà a vivere per sempre. Perché, volente o nolente, è presente negli abiti che indossiamo, nel taglio di capelli che esibiamo, nelle musiche che ascoltiamo, nelle parole che pronunciamo e, soprattutto, nei ricordi che custodiamo.
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