Se dovessi dire il nome di una cosa (ma anche un concetto) che nella mia vita è tornata con regolarità ti direi la radio. Sono cresciuta portando sempre con me delle radioline da ascoltare nei momenti di relax. Le partite? Le ho sempre sentite alla radio. E ogni tanto nel pieno della mia gioventù mi concedevo qualche lunga telefonata sfogo in programmi sportivi di vario genere. Niente di che, chiacchiere a cuore aperto su calcio mercato e discutibili decisioni arbitrali. A volte lo spettro degli argomenti si ampliava alla politica e alla società, con risultati sorprendenti. La radio insomma è stata ed è ancora una parte essenziale della mia vita, professionale e non solo.
Oggi quindi si celebra la Giornata Mondiale della Radio, voluta dall’UNESCO nel 2011 per festeggia l’anniversario della prima trasmissione radio dell’ONU nel 1946.
Leggi anche: Come lavorare bene senza perdere il cuore

Foto di Fringer Cat su Unsplash
Radio days
In radio ho imparato a tagliare e condensare (forse anche troppo e me ne rendo conto quando scrivo o racconto cose: vado dritta al punto senza fronzoli e chi mi ascolta se ne lamenta bonariamente). In effetti, se un’intervista di 30 minuti deve diventare un contributo di 30 secondi, massimo 40, facciamo 50, capisci bene che non puoi guardare tanto per il sottile.
Ecco, questa capacità di trovare il succo di una questione mi viene dalla radio. Così come dalla radio arriva la capacità di non perdersi davanti agli imprevisti di una diretta. Che ti elenco:
- risata trattenuta del conduttore
- messa in onda di servizio non pulito con parolaccia del giornalista
- sfondone (uomo muore scivolando in un carpaccio)
- telefonata di ascoltatore arrabbiato
La radio di nonno Giuseppe
Quando andavo a trovare i miei nonni, la radiona vecchio stile campeggiava nella loro casa. Apparteneva a nonno Giuseppe, il padre di mio papà dal quale, pare, io abbia ereditato la passione per il cinema, i giornali, la comunicazione in generale. Era dei Gemelli, non avrebbe potuto essere diversamente. Vedi, sono immagini che poi ti si incastrano nella mente e non escono più. Come la vecchia radiolina nera che sembrava il monolito di 2001 Odissea nello spazio che mio fratello portava allo stadio per ascoltare cosa succedeva sugli altri campi.
Il calcio
Non posso negare che ho iniziato ad appassionarmi a questo mondo quando vedendo crescere la mia passione da tifosa. Ascoltavo trasmissioni sportive a colazione, pranzo e cena, coltivando nel mio cuore la segreta speranza di far parte di quel carrozzone fantasmagorico. Cosa che effettivamente successe dal 1999, quando mi fu proposto in maniera del tutto inaspettata di iniziare a lavorare come redattrice in un programma calcistico.
Roba forte. Una timida come me che rifuggiva ogni occasione prossima di confronto umano venne catapultata in un universo chiassoso, pieno zeppo di «Ciao bello!», «Volevo solo dire a chi ha parlato prima di me che non capisce niente» (e giù improperi). Era come me lo aspettavo? Nemmeno un po’. Io ero una studentessa universitaria perfettina. L’appartamento da dove trasmettevo invece era un antro fumoso con personaggi cinici, sconfitti dalla vita a cui bastava un gesto del regista per accendersi e sorridere. Fu una palestra strepitosa anche grazie a dei mentori straordinari.
E di notte…
Sì, anche di notte ascoltavo la radio, che io e mio fratello nascondevamo sotto il cuscino per ascoltarla una volta che mamma e papà si erano addormentati. Oggi si scarrella su YouTube, ieri si scarrellava tra le frequenze. Cosa credi che facessimo? Cercavamo le nostre canzoni preferite tra una frequenza e l’altra. Se ci pensi, è una cosa bellissima.
Segui Smack!
Non dimenticarti di seguire Smack! – Blogzine per donne croniche su Facebook. Metti mi piace alla nostra pagina! E segui anche il gruppo Il circolo Smack! Iscriviti anche alla nostra Newsletter cliccando sul form in Homepage oppure qui.
Lascia un commento