Da Il diavolo veste Prada in avanti la moda, o meglio il racconto della moda, è diventato motivo di interesse anche per i non addetti ai lavori. C’è qualcosa di affascinante nei meccanismi oliati e perversi del dietro le quinte, nell’analisi a volte impietosa della cucina della redazione. Piace, insomma, vedere la fatica nascosta dietro alla bellezza. Ecco perché se ami il mondo della moda e soprattutto ami i personaggi femminili tutto pepe, intelligenti e brillanti, un’occhiata alla nuova serie di Canale 5 Made in Italy ti consiglio di darla.
Poi però parliamone. Perché a fronte di un’idea eccellente, raccontare la nascita della grande moda italiana negli anni ’70 – ’80, molto si dovrebbe dire sull’incapacità di mostrarne davvero il suo spirito all’avanguardia. Comincio io.
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La redazione di Appeal, cuore di Made in Italy
Made in Italy, tra mito e realtà
Made in Italy nasce da un’idea di Camilla Nesbitt per TaoDue, approda più di un anno fa su Amazon Prime e dal 13 gennaio terrà compagnia agli spettatori dell’ammiraglia Mediaset in prima serata. Ambientata a Milano, LA città della moda, la serie racconta la storia di Irene, studentessa universitaria con il desiderio nemmeno troppo nascosto di essere indipendente. Vorrebbe lasciare il nido, mamma e papà sono lavoratori instancabili ma un po’ all’antica, soprattutto quando si parla del futuro della “figlia femmina” che nella loro idea deve diventare per prima cosa una moglie.
Ha un fidanzato geloso, è bellissima e molto intraprendente. Quando arriva alla redazione del giornale di moda Appeal, diretto da Rita Pasini (Margherita Buy si ispira alla firma del Corriere della Sera Adriana Mulassano), scopre un mondo nuovo. Impara che la bellezza può essere raccontata in maniera accessibile a tutti e che in Italia la nuova arte si chiama moda. Tutto questo grazie ad un gruppo di artigiani straordinari che fanno sognare tagliando e cucendo vestiti.
Quindi?
Si fa strada a colpi di interviste geniali, tutte procacciate con soavi colpi di fortuna, protegge la rivista dalla scalata dei cattivi editori, trova l’amore vero e un gruppo di amici che non si arrendono mai. Anche se la Milano di fine seventies è un luogo difficile in cui vivere.
I miei pro
Made in Italy ha dalla sua una cura maniacale per la ricostruzione del decor dell’epoca e conta su una palette cromatica calda ed elegante. Da un punto di vista squisitamente scenografico è un piacere per gli occhi. Inoltre mostra con efficacia il grande lavoro che grafici e fotografi attuavano prima dell’avvento del digitale. Quando ogni foto e ogni servizio erano minuziosamente creati sull’onda di un’intuizione unica, sostenuta poi da una durissima fatica. Davvero emozionante. A questo aggiungi anche una piacevole colonna sonora firmata da Giuliano Taviani e Carmelo Travia.
I miei contro
Made in Italy soffre di tutti i difetti della serialità italiana (Stanis, perdonaci): personaggi piatti o con pochissime sfaccettature, situazioni incredibili, colpi di scena telefonati (direi anche annunciati con un telegramma), pochi lampi di realtà vera buttati lì, tra un plissé e l’altro. Personalmente quello che più mi ha lasciata perplessa è la rappresentazione della giornalista e del giornalismo. Irene, la brava Greta Ferro, è una Lois Lane più glamour e fortunata. Se ti stai chiedendo se davvero funziona così la risposta è NO. Una certa drammatizzazione è necessaria, chiaro, ma quando si sfiora l’irrealtà il gioco non funziona più.
La grande moda
Ci sono proprio tutti da Giorgio Armani, interpretato da Raoul Bova, a Krizia (Stefania Rocca), passando per Valentino, Gianfranco Ferrè, Missoni, Fiorucci e Walter Albini. Il meglio del meglio. Il nostro orgoglio nazionale.. Non possiamo fare altro che ammirarne il genio, anche se le loro storie ci vengono mostrate in versione Bignami. Forse un’occasione sprecata.
Guarda il trailer di Made in Italy
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