La mattina del 4 novembre mi sono svegliata di buon’ora pensando di confrontarmi con la notizia dell’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Certo, c’era la possibilità di rimanere amaramente delusa di fronte ad una nuova elezione di Trump. Tuttavia volevo dare un’ultima possibilità di riscatto a questo anno orribile. Dunque, con un contenuto entusiasmo, ho preso il cellulare per consultare l’Ansa. Tra tutti gli scenari delle Elezioni USA cui ero preparata, però, mai mi sarei aspettata di trovarmi di fronte ad una situazione sospesa. Il futuro Presidente degli Stati Uniti non aveva ancora un volto certo.
Come se non bastasse, poi, in pochi minuti è stato dato vita ad un balletto grottesco. Tra cifre incerte, stati indecisi ed un uomo di dubbio gusto che, nemmeno fosse Napoleone, decide di incoronarsi Presidente. Una confusione, questa, che avevamo intravisto solo durante la prima elezione di George Bush figlio. Sì, quella che costò la presidenza ad Al Gore. Un caos che ha avuto il potere di riportare alla mia memoria un altro election day. E, soprattutto, una notte in cui l’entusiasmo e la speranza di due giovani donne erano a livelli così alti da spingerle a compiere un piccolo atto di follia.
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Foto di Jon Sailer su Unsplash
Elezioni USA, tra dubbi e sogno
Correva l’ anno 2008. Era una serata di fine ottobre come tante altre, ma presto le cose sarebbero cambiate. Come detto, due giovani donne erano tornate a parlare di politica internazionale grazie all’arrivo di un personaggio innovativo e dal forte carisma. In quell’anno, infatti, Barack Obama aveva iniziato il suo percorso verso la Casa Bianca, preparandosi a diventare il primo Presidente afro – americano. Ma noi ancora non lo sapevamo.
Quello che era certo è che, con la sua camminata morbida e vagamente molleggiata, la voce profonda ed una capacità retorica dove chiarezza, sintesi e senso della misura si armonizzano in un insieme particolarmente musicale, in quell’autunno Obama era riuscito a costruire un immaginario migliore, un sogno capace di investire un pubblico immenso, anche Oltreoceano.
Quando Obama ci fece dire Yes, I Can
Ed è proprio per questo che, alla vigilia di un election day cosi speciale, quelle due donne, prese da fervore politico, decisero di dare il loro personale contributo alla campagna da un salotto romano del quartiere Eur. Cosi, armate di computer e una carta di credito, riuscirono a spendere ben ottanta euro a testa in spillette della campagna elettorale che ancora custodiscono gelosamente.
Oggi, a qualche anno di distanza, quando io e la mia compagna di malefatte ripensiamo a quella serata proprio non riusciamo a sentirci sciocche. Anzi, con molta probabilità saremmo pronte a ripetere la “prodezza” se sullo scenario internazionale arrivasse, ancora una volta, una personalità capace di creare un mood, un’emozione universale capace di farci sperare nell’esistenza di un futuro.
Elezioni USA: Kennedy e il sogno di Camelot
Il primo uomo a fare del sogno e dell’immaginario collettivo uno strumento efficace per vincere il suo election day fu senza dubbio Kennedy. Prima di continuare, però, è giusto dire che il mio rapporto con questa figura presidenziale è particolare, quasi personale. Il primo incontro con JFK, infatti, è avvenuto nelle aule del dipartimento di Storia della Sapienza grazie all’esame di Storia degli Stati Uniti.
In quel momento ho cominciato a nutrire un interesse particolare per quella presidenza, come se il fascino e la mitologia kennediana riuscisse ancora a stregare a molti decenni di distanza. Come può, però, un Presidente americano morto nel 1963 affascinare una studentessa di Storia Moderna e Contemporanea della metà degli anni novanta?
Precisato che per uno storico non esistono pagine più interessanti di quelle incompiute, anche nel caso di JFK e del suo incredibile election day la parola d’ordine è sogno. Non solo il giovane presidente irlandese, insieme alla moglie Jackie, è riuscito a costruire l’immagine pubblica della perfetta coppia di potere ma, soprattutto, è stato in grado di convincere e coinvolgere un paese intero, e non solo, nella costruzione di una nuova frontiera i cui confini erano così ampi da puntare verso le stelle e la luna.
Il cuore e la forza dirompente di questo sogno sono racchiusi nel discorso di insediamento di Kennedy, capace di far vibrare di senso civico, desiderio di futuro e di appartenenza a quel progetto ancora oggi.
Elezioni USA: oggi il sogno è essere normali
E tornando proprio all’oggi, è d’obbligo una piccola riflessione che in verità, ha più il sapore della speranza. In qualunque modo termineranno queste combattute elezioni USA finiranno, mi sento di affermare un’evidenza, ossia l’assenza di qualsiasi sogno. Nel migliore dei casi avremo una presidenza di passaggio il cui scopo, forse, potrebbe essere quello di riaccendere i nostri animi tra quattro anni con la corsa alla Casa Bianca della prima donna afro – americana. E allora si che si potrebbe scrivere la Storia.
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