Il primo giorno di scuola lo preparavo nei dettagli intorno a Ferragosto. Il 15 agosto, per me, era la data di fine estate. Da quel momento in avanti tutto sarebbe andato in discesa e ricominciavo a pensare con gioia ai compagni da ritrovare e soprattutto alle cose da comprare. Zaini, quaderni, diari… Ancora oggi se entro in una cartoleria una forza magnetica mi spinge verso le pile di agende sistemate sugli espositori. Le apro, le sfoglio e le annuso. Allora torno bambina o ragazzina. Torno a quando la scelta del diario da comprare era una questione di vita o di morte.
Il mio diario ideale doveva essere alternativamente molto buffo o al contrario di tenerezza stucchevole. E mai, dico mai, avrei dovuto sbagliare il modello da comprare. Perché sarebbe stato presagio nefasto per l’anno scolastico. Sciocchezze di bimba.
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Primo giorno di scuola
Ricordo tutto di tutte le mie prime volte importanti. Il primo giorno all’asilo, quando il mio esile corpo di cinquenne veniva strattonato da una parte e dall’altra da Suor Agnese e Suor Antonella. Entrambe mi volevano nella loro classe, ma non per amore. Gli serviva una bambina in più per fare numero. Vinse la seconda. Solo tempo dopo capii che tra le due maestre c’era un mondo di differenza. Agnese era una suora severa ma giusta e preparava i suoi bimbi alla prima elementare, insegnando già a scrivere qualche lettera.
La mia invece ci faceva usare il pongo.
E se per caso eri più scalmanato del solito, pizzicava le tue mani con uno spillo che estraeva dal suo copricapo. Con me non lo fece mai. Si limitò a farmi sentire una disadattata perché con il suddetto pongo realizzai un’opera d’arte a suo dire assurda. Tante piccole palline schiacciate sul foglio a simboleggiare i diversi cerchioni delle macchine. Va detto che mio fratello mi faceva leggere Quattroruote. Oltre a farmi fare le paginette con la formula dell’acqua.
In prima elementare il ricordo più spaventoso era legato alla grande scala della scuola. Una rampa gigantesca, almeno così mi sembrava, che mi avrebbe portata in classe. Odiavo (e odio anche oggi) le scale e l’idea di doverle salire e scendere almeno due volte al giorno mi bloccava. Una bambina bloccata è una bambina che non è tranquilla. E una bambina non tranquilla non vive l’esperienza scolastica come una cosa bella. Il primo giorno di scuola allora mi appoggiai al muro e tremante, dopo un bel sospiro, mi sedetti al mio banco. In prima fila, ovviamente. Ero troppo piccola per stare dietro.
La mia cartella? Una borsa deliziosa color ruggine con una lumachina applicata. Una delle cose più belle che mi avessero mai regalato. Anche se per essere sincera l’oggetto più ambito in quei giorni era la penna Papermate che si poteva cancellare. Me ne regalarono una bordeaux, spiegandomi che non avrei dovuto cancellare e fare pasticci, ma imparare a scrivere. Certo, ma intanto potevo correggere quando volevo!
Il primo giorno di scuola alle medie
Fu tragico. Chi ero? Dove andavo? Cosa volevo? E soprattutto, cosa ci facevo in quel posto dove tutti si conoscevano? Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, sensazione che si sarebbe attutita col passare degli anni fino quasi a dissolversi alla fine. Quando, naturalmente, avrei dovuto lasciare la scuola per un altro quantum leap. Fino alle superiori. In quel caso il senso di smarrimento da primo giorno di scuola durò per un anno intero. Rischiai addirittura di essere rimandata in matematica (sacrilegio!!!!!!), salvo superare indenne la prova di un compito in classe decisivo. Mi preparai giorno e notte ascoltando Paul McCartney. Forse mi ha portato fortuna lui.
E l’università?
Non è stato un primo giorno di scuola, ma un primo giorno di vita vera. Finalmente fuori da cortili protetti e classi pulite e in ordine. Gettata in mezzo alla mischia come gli adulti, a lottare per emergere, per imparare cose importanti e diventare grande. Piansi disperatamente tornando a casa, certa di aver fatto la sciocchezza del secolo a scegliere la facoltà di Lettere. Sbagliavo. E me ne accorsi già dal secondo giorno lì.
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