Da qualche giorno al Lido è tornato del fermento. I leoni dorati sono stati posizionati al solito posto, il tappeto rosso è stato steso a dovere e le sale cinematografiche hanno subito una riorganizzazione dei posti per il nuovo e necessario distanziamento sociale. In parole povere il Festival di Venezia ha inaugurato la sua settantasettesima edizione. Capisco che per molti l’evento in sé abbia un’importanza secondario o del tutto irrilevante ma, per quanto mi riguarda, rappresenta un appuntamento professionale e personale che per molto tempo, è stato irrinunciabile.
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Un’immagine dal Lido di Venezia
Festival di Venezia, cronache del delirio
Per oltre dieci anni negli ultimi giorni di agosto ho riempito una valigia dalle proporzioni spropositate in direzione Venezia. Uscire dalla stazione e affrontare la consueta lotta per un posto sul traghetto ha sempre rappresentato un momento catartico, un viaggio di consapevolezza dove fare i conti con un anno lavorativo appena trascorso e trovare la spinta giusta per iniziare una nuova stagione. Insomma, una sorta di appuntamento con il destino, un capodanno anticipato dove l’aspettativa per un futuro ancora ignoto è elettrizzante ed entusiasmante.
Ciao Lido
Da alcuni anni, però, le variabili lavorative che caratterizzano la vita di un giornalista mi hanno portato lontano dal Lido ma il mio cuore batte ancora per il festival di Venezia, soprattutto in questa sorta di anno zero in tempo di Coronavirus. Dunque, come rendere onore ad una edizione così coraggiosa e determinata nonostante non sia sul campo a confrontarmi con il nuovo sistema di prenotazioni delle proiezioni e le immancabili zanzare aggressive e geneticamente modificate del Lido?
La risposta si è fatta largo dai meandri della mia memoria o, forse, sarebbe più giusto dire dalle profondità del mio cuore. Per celebrare degnamente il Festival di Venezia, infatti, ho scelto di condividere un momento emotivamente intenso, ossia l’incontro con l’uomo della mia vita: Ewan McGregor.
Festival di Venezia, incontrare l’uomo che fissa le capre
Correva l’anno 2009. Ero una giovane giornalista che in quell’edizione del Festival di Venezia vestiva i panni di autrice televisiva per uno speciale in inglese che sarebbe andato in onda su Coming Soon. Ero chiaramente eccitata per la nuova avventura professionale e, soprattutto, per la presentazione del film L’uomo che fissava le capre. Mentre tutto il Lido, pero, attendeva con ansia l’arrivo di George Clooney, io fremevo per il co-protagonista Ewan McGregor.
Non so dire con esattezza quando i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta, cinematograficamente parlando. Posso solo affermare con l’onestà intellettuale che mi contraddistingue, che, ad un certo punto, sarei stata disposta a salire su di un elefante, tingermi i capelli di rosso e cantare con lui in loop Come What May senza sosta alcuna.
Tutto questo e molto altro, sedotta da un sorriso fresco, giovanile con un sottofondo di malizia capace di illuminare il volto del mio scozzese preferito. Insomma, credo sia chiaro che quando la produzione mi ha dato conferma della possibilità di intervistarlo durante il Festival, io Iniziato a lavorare ai testi con una dedizione mai mostrata fino a quel momento. Volevo che tutto fosse perfetto e lo sarebbe stato. O almeno così speravo.
Festival di Venezia, io, Ewan e la bionda australiana
Prima di avviarmi sulla strada del ricordo, però, devo chiarire un particolare non trascurabile. In quanto autrice non avrei intervistato fisicamente McGregor. Il mio compito sarebbe stato quello di fare il lavoro sporco, ossia compilare schede informative sul personaggio, vedere in anteprima il film e stilare le domande. Il tutto nel minor tempo possibile per offrire a Melissa, la conduttrice australiana dello speciale, il materiale utile al suo incontro con Ewan.
Lo so, ben poca cosa rispetto al faccia a faccia che il mio alter ego biondo e altissimo avrebbe vissuto. Ma queste erano le regole da contratto. Io avevo le conoscenze cinematografiche, Melissa i centimetri in più che la rendevano, a dire dei produttori, perfetta per il video.
Sta di fatto che la mattina della proiezione stampa del film mi avvio con rinnovata energia verso la sala Darsena. Terminata la visione, senza esitazione alcuna e senza badare alle temperature roventi di quel settembre e alla proverbiale umidità del Lido, scatto come un fulmine verso la sala stampa e, con precisione, nel settore Wella, dedicato al trucco e parrucco di star e presentatrici.
Je suis Frodo
Lì, seduta sulla poltrona del truccatore, fresca e rilassata, mi aspetta Melissa in tutto il suo biondo splendore da surfista australiana. Dal canto mio, sudata, affannata e letteralmente sommersa dai miei appunti, vengo fatta accomodare su di un banchetto basso e provvisorio accanto a lei. Il confronto è impietoso, me ne rendo perfettamente conto da sola.
Sembro Frodo che, sfiancato da una settimana di corse in evidente carenza di sonno e cibo, prova a far capire a Legolas, impassibile nella sua bellezza elfica, i segreti di un film chiaramente ironico e con molti raffinati sottintesi.
Ed è proprio in quel momento che viene aperta una porta e, con la coda dell’occhio, vedo entrare un gruppo di persone. A fare il suo ingresso per ultimo è proprio Ewan, con quell’aria fresca e disinvolta di chi è “figo” ma fa finta di nulla. Ecco, in quel preciso istante, accucciata su di uno sgabello, stanca e distrutta alle 11.00 del mattino, sto per fare l’incontro tanto atteso e non sono evidentemente nelle condizioni giuste. O almeno desiderate.
La Forza non è stata con me
È in quel preciso istante che, con tutta me stessa, inizio ad invocare le forze conosciute e sconosciute dell’intero universo per evitare che lui si volti a guardare verso di noi. I miei sforzi, però, sono vani e, con una precisione millimetrica il suo sguardo si posa di noi mentre, accucciata sulle mie ginocchia, provo a ricompormi nel tentativo disperati di far capire a Melissa chi e cosa sia uno Jedi.
Ecco, questo è stato l’incontro con l’uomo dei miei sogni. Ricordo ancora il suo sguardo incuriosito e di come si sia voltato più volte verso di noi mentre si dirigeva sulla terrazza del photo call. Oggi, ad anni di distanza, posso ancora descrivere la sua camminata e cosa indossava. Io spero di essergli rimasta in mente solo per cinque minuti come la buffa creatura accucciata su uno sgabello.
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