Avrei potuto scriverti uno di quei bei post pieni di suggerimenti sui libri da leggere in estate. Poi ho pensato che forse avrei potuto essere un filo più originale raccontandoti il momento in cui mi sono innamorata dei libri e della lettura. Sì, un momento preciso, ancora nitido nella mia mente. Così forte e travolgente da segnare, suo malgrado, uno spartiacque nella mia vita. Ero una ragazzina piena di contraddizioni. Forte e solare all’esterno, tormentata nel suo cuore. Talmente tanto da non avere neanche la voglia di spiegare al mondo il mistero che incarnava. Lo avrebbero scoperto solo i pochi fortunati che desideravano nel profondo entrare in quella testolina piena di sogni.
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Le mie memorie del sottosuolo
Leggere è crescere
Era il 1990. Fu una delle estati più tristi per la mia famiglia perché per una serie di incastri e rovesci di varia natura non fu possibile andare in vacanza. Oggi una situazione del genere mi farebbe solo sorridere, ma all’epoca, per una quattordicenne desiderosa di vivere tutte le avventure possibili, quella scelta era davvero una (mini) tragedia. Approfittammo della generosità di uno zio per trascorrere una settimana al mare in Settembre.
Il mare di Settembre era una meraviglia. Spiagge vuote, acque cristalline, silenzio diffuso. Io però mi sentivo completamente fuori posto. Il primo anno delle superiori si chiuse in maniera poco brillante. Patii il salto dalle medie alla scuola per grandi, la mia intelligenza sembrava prosciugata, esanime. E quel silenzio diffuso era peggio di un colpo di pistola improvviso.
Per fortuna ci sono i cugini
Esseri umani familiari e sconosciuti al tempo stesso. Di lì a poco avrei dovuto decidere quali libri leggere per fare i compiti assegnati dalla professoressa di italiano e non sapevo da che parte iniziare. Mio cugino, il figlio dello zio generoso, mi suggerì allora di leggere Le memorie del sottosuolo di Fëdor Dostoevskij. Buffo, avevo sempre sentito parlare di quello scrittore dal nome complicato, ma non ebbi mai la voglia di scoprirlo. Andammo insieme in una libreria e comprai il volume.
Ci misi qualche giorno per aprirlo
Tornai a Roma, a casa, quando finalmente sentii che era arrivato il momento di varcare le mie personali colonne d’Ercole. Lì qualcosa cambiò per sempre. Fu come se ogni pezzo del puzzle trovasse il suo posto preciso, come se il mondo rivelasse a me i suoi segreti più nascosti. Mi era bastato leggere poche pagine di quel romanzo per comprendere chi fossi, cosa amassi. Un click equiparabile al Big Bang che fece nascere dentro di me un nuovo universo.
Cosa c’era di speciale nel libro?
Il fatto che un uomo, uno scrittore, avesse scelto delle parole precise per raccontare il suo dolore. Non era il mio stesso dolore, non totalmente almeno, ma amai con tutta me stessa la libertà dell’artista di attingere a piene mani dalla sua vita per mostrare al mondo un briciolo di senso. Quello che riesce a restituirti, anche se solo per un attimo, la pagina scritta. Avrei potuto farlo anche io. Riempii un foglio protocollo intero con le mie riflessioni.
Un velo si era squarciato, il vetro infranto.
La penna andava da sola, ormai. L’inchiostro blu sembrava un mare. Ogni canzone mi parlava, ogni immagine suscitava in me tenerezza. Che emozioni bellissime, leggere e indimenticabili. Lèggere e leggère si somigliano, forse perché sono parole che hanno a che fare con i pesi da cui ci si separa. Con i bagagli che ci lasciamo alle nostre spalle. E con quella incantevole cosa umana che si chiama crescere.
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