Lo chiamano Smart Working ed è molto di più che lavorare da casa. In momenti di tranquillità, quindi non con una pandemia in corso, il ricordo al cosiddetto lavoro intelligente o agile è attività consueta per i freelance di ogni tipo. Chi come me fa il giornalista, e più avanti ti spiego meglio, è abituato da tempo a sfruttare ogni spazio a disposizione, e persino i minuti tra un evento e l’altro, per portare a termine un articolo o impostare un’intervista. Ho scritto recensioni di film appena visti mentre ero in metro o in fila per entrare ad una proiezione, durante un festival.
Facciamo di necessità virtù, insomma, o meglio proviamo a non sprecare tempo, che è il vero fattore decisivo dei nostri giorni caotici. Funziona? Il più delle volte sì, ma con qualche piccolo distinguo. Quindi fai attenzione: Smart Working non è sinonimo di lavoro da casa. E nemmeno di telelavoro, che prevede una postazione fissa e prestabilita, con gli stessi orari d’ufficio.
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Foto di Christin Hume su Unsplash
Smart working, tempi moderni
Partiamo dalla definizione data dall’Osservatorio del Politecnico di Milano. Lo Smart Working, regolato dalla legge n.81/2017 è «una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati».
Dunque, cambia il rapporto tra azienda e dipendente: non conta l’unità di tempo e luogo, ma la nuova responsabilizzazione che intercorre tra le parti. Come a dire, ti faccio lavorare meglio per farti produrre di più.
E infatti
Secondo il progetto ELENA sviluppato dal Dipartimento Pari Opportunità con il Centro Dondena dell’Università Bocconi e condotto su un gruppo di lavoratori di una grande azienda, chi ha lavorato in Smart Working da casa ha dato in nove mesi risultati migliori da diversi punti di vista (e ci metto anche la diminuzione dell’inquinamento):
- Il rispetto delle scadenze è aumentato del 4,5 %
- In media ci sono stai sei giorni di assenza in meno
- L’efficienza è salita al 5%
- Il 76% dei lavoratori si è detto soddisfatto del lavoro
Per chi può godere di un rapporto lavorativo subordinato, è il paradiso in Terra.
Dove sta l’inghippo?
Hai notato quanto la rete sia lenta in questi giorni? Il traffico dati è aumentato dal 20% al 50%. Siamo tutti connessi. Ma per molti l’accesso a una rete stabile è un miraggio. Se a ciò aggiungi il disinteresse delle piccole e medie aziende per questa modalità lavorativa e la mancanza di cultura tecnologica da parte di molti dipendenti, puoi comprendere quanto la strada sia ancora lunga. Eppure, forse è quella da intraprendere, anche dopo l’emergenza Coronavirus. A condizione di migliorare tutti i fattori non ancora messi a fuoco. In primis le carenze tecniche e non ultimo il fatto di far lavorare il dipendente in massima sicurezza.
La mia esperienza
A essere precisi, non sono una smart worker, ma solo una freelance. Da quando le redazioni dei giornali sono diventate luoghi irraggiungibili – sì, avere una scrivania ti regala una vaga sensazione di stabilità – la sottoscritta e tanti altri colleghi hanno trasformato tutto nella propria scrivania personale. I sedili della macchina, i tavolini di un bar, le poltroncine scassate dell’autobus. E ovviamente casa nostra.
Sono anni che lavoro dal mio monolocale. Faccio i conti con spazi che ormai sono familiari, mi concedo il lusso di staccare per qualche minuto anche solo per preparare il pranzo o per impostare la lavatrice (quando non devo occuparmi di un podcast, chiaramente).
Non lo nego: è rassicurante
Ma la vita di redazione ormai non la ricordo più. Manca il contatto diretto coi colleghi, quello scambio continuo e immediato di pensieri, parole, opere e omissioni che poi è il senso profondo di ogni lavoro. Non è il luogo che identifica la tua professione, dicono, ma solo ciò che fai. Quando, quanto, dove e come è affar tuo. Nel caso dei freelance dell’informazione – e non dimentico nemmeno mezzo secondo di essere tra i fortunati – questo ha il sapore di una beffa. Potremmo mai diventare anche noi freelance degli smart worker a tutti gli effetti?
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