Per gran parte della nostra vita da adulti spendiamo tempo ed energie ad attribuire un senso compiuto ai legami sentimentali che stringiamo. Nonostante la fretta e i molti impegni sembra che il percorso sentimentale sia destinato ad essere l’elemento che meglio ci racconta. In realtà, nonostante tutto questo affannarsi nel trovare la persona giusta e, soprattutto, nel mantenere il legame il più a lungo possibile, perdiamo di vista, più o meno consapevolmente, di essere già parte di un’unione indissolubile; quella con i nostri genitori. Ma cosa accade quando questo confronto si interrompe prematuramente o non ha mai avuto possibilità di cominciare? Il quesito, ben lontano dall’avere una risposta univoca, è stato ripreso dal film di Francesco Amato, 18 regali. E questo ha scatenato in me varie reazioni.
Che si aspiri all’emulazione o si preferisca l’allontanamento, insomma, il modello del padre e della madre è un riferimento con il quale siamo destinati a dialogare per sempre.
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Benedetta Porcaroli è Anna
18 regali ha parlato a me stessa
Tralasciando il valore cinematografico del film, la storia portata sullo schermo da Vittoria Puccini e Benedetta Porcaroli, ha avuto la capacità di inchiodarmi alla poltrona della sala, ostaggio di un personale rimpianto. Nonostante questo, o forse proprio grazie alla sua capacità di portare a galla le segrete emozioni dell’anima, ho deciso di avventurarmi in una riflessione sul dialogo figli – genitori. Ostacolato dalla loro assenza.
18 regali, quando la realtà va oltre la finzione
La sceneggiatura di 18 regali ha un valore particolare perché parte dalla straordinaria vicenda di Elisa Girotto che, consapevole di non poter veder crescere sua figlia, decide di lasciarle in eredità 18 regali. Attraverso questi doni Elisa decide di pensare al futuro nonostante la sua malattia. Più importante della sopravvivenza o della morte stessa è la possibilità di costruire con la figlia Anna un colloquio che, attraverso oggetti o progetti, prova a svilupparsi oltre l’assenza.
È così che ogni regalo si fa parola, pensiero, aspettativa e patrimonio. Un’eredità che, attraverso 18 compleanni, regalerà ad una figlia la possibilità di definire e riconoscere i contorni della propria madre. Saranno sufficienti a colmare il vuoto? Prenderanno il posto delle cure e degli scontri generazionali, dell’amore e delle incomprensioni? Ovviamente no. Non lo è per la giovane protagonista del film e non lo sarà per la piccola Anna, inconsapevolmente al centro di una vicenda eccezionale.
18 regali per colmare la distanza
Ma è proprio dove la divisione si fa netta e una madre e una figlia sembrano destinate a non “sentirsi” mai, che Amato, grazie ad un escamotage cinematografico, rende possibile l’incontro. Nella realtà non vengono offerti viaggi temporali o esperienze extrasensoriali. Nella quotidianità tutto si fa più arduo, ma non impossibile.
Il primo passo di questo percorso di avvicinamento o, se vogliamo, di scoperta, avviene attraverso un elemento materiale, come un’oggetto o una foto. A questo seguono i racconti, le ricostruzioni veicolate dall’altrui memoria.
E poi, alla fine, inizia un viaggio autonomo, del tutto personale in cui la rabbia è un sentimento ammesso e compreso fino a quando, in un gesto, nell’intonazione della voce o in un elemento caratteriale non si scorge il riflesso di una somiglianza destinata a trasformarsi in appartenenza.
Ecco, è proprio in quel momento che ognuno di noi, a qualsiasi età, è destinato a trovare i 18 regali lasciati dal proprio genitore e ad intravedere più chiaramente il patrimonio affettivo grazie al quale poter riprendere un silenzioso colloquio la dov’è era stato interrotto.
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