Donne e lavoro. Esiste un argomento più complesso di questo? In effetti tutto ciò che riguarda il tema “donne” rischia di essere considerato spinoso. Anche solo aprire un blogzine come questo mi ha sottoposta a un fuoco di fila di domande come: possono leggerlo anche gli uomini? Si parla solo di rossetti? Non sarai mica come quelle femministe che parlano male dei maschi? Per la cronaca: sì, no, no. Vedi, ormai si ha paura di affrontare certe materie perché da un lato si teme un confronto franco, aperto e pulito su questioni importanti; dall’altro si rischia di banalizzarle.
A me non piace banalizzare: una donna deve lavorare perché è donna? No. Una donna deve lavorare perché è brava. Una donna lavora meglio perché è donna? Non lo credo e per lo stesso motivo di cui ti scrivevo sopra. Semmai lavora in maniera diversa e la diversità è sempre ricchezza. Le qualità umane e professionali di un essere umano non hanno nulla a che fare con l’appartenenza a un genere. Le donne sono pagate meno dei colleghi? Sì, purtroppo. Eppure…
Leggi anche: Il lavoro perfetto è quello che ti realizza

Foto di Corinne Kutz su Unsplash
Donne e lavoro, circolo virtuoso
I dati pubblicati dall’International Labour Organization (ILO) nel suo secondo rapporto globale, Women in Business and Management: The business case for change, parlano chiaro: la parità di genere migliora i risultati di business.
L’organizzazione ha esaminato tredicimila imprese di 70 paesi notando come oltre la metà delle aziende, con un buon numero di donne in organico, ottenga una migliore produttività. In termini di innovazione e di incremento delle attività di business.
Oltre il 60% degli intervistati inoltre ha evidenziato una maggiore redditività e produttività. Nel 54,1% dei casi, infine, le aziende virtuose dal punto di vista delle pari opportunità hanno visto incrementare la propria reputazione.
Non nascondiamoci: si può fare. Si deve fare
Perché alle aziende conviene avvalersi di professionalità forti.
Sì, ma come si fa a passare dalle parole ai fatti? Semplice: agendo. Come sta facendo da tempo ormai il Gruppo farmaceutico Menarini che da Firenze, dove si trova la sua sede, è presente oggi in 136 paesi al mondo, con 3.667 miliardi di euro di fatturato e più di diciassettemila dipendenti. Alla guida della multinazionale c’è Lucia Aleotti che assieme al fratello Alberto Giovanni ha allargato i confini geografici dell’azienda, trasformandola in una realtà tra le più importanti del settore.
Il 48% dei dipendenti Menarini sono donne
E in una divisione strategica come la ricerca e lo sviluppo si arriva al 70%. Non male. Se si considera anche che il nuovo amministratore delegato, nominato lo scorso 12 settembre sia una donna, Elcin Barker Ergun. Quote rosa? Neanche per idea: merito. Solo merito.

Elcin Barker Ergun, nuovo CEO Menarini
Otto anni trascorsi in Regno Unito e Olanda lavorando per aziende del settore tecnologico, l’esperienza come direttore finanziario delle filiali in Glaxo Smith Kline e il ruolo di Responsabile di New Business in Merck KGaA sono un biglietto da visita invidiabile.
«Non è stata scelta in quanto donna ma perché è una persona che aveva tutte le qualità per noi necessarie – ha spiegato la dottoressa Lucia Aleotti durante la presentazione del volume d’arte Menarini dedicato quest’anno al Beato Angelico -. Ci abbiamo messo un anno e mezzo per decidere».
Menarini rappresenta quindi un vero modello culturale
In un ambito, quello farmaceutico, che brilla per la presenza di donne nei posti di comando (sono circa il 40%). Non è un caso che Menarini abbia dato il suo sostegno incondizionato all’organizzazione del corso di formazione per giornalisti Stop alla violenza di genere – Formare per fermare, in collaborazione con il Dipartimento delle Pari Opportunità. Senza dimenticare, però, che i grandi risultati si ottengono anche a partire da piccoli passi. Come aprire in azienda un asilo utilizzabile dalla mattina alle 7.45 fino alle 18, dove le mamme possano andare durante la pausa pranzo.
E c’è di più
Nella sede Menarini di Kaluga, polo industriale nella Russia centrale, la responsabile si chiama Irina Braginskaya. A lei si affiancano altre tre dirigenti, mentre a capo dei vari dipartimenti ci sono sette professioniste, dai 40 ai 64 anni.
Come vedi, esistono aziende che hanno interesse a far lavorare nel migliore dei modi i propri dipendenti. Perché il binomio donne e lavoro deve diventare normalità e non una sfida all’ultimo sangue. Basta partire tutti dallo stesso punto e avere uguali possibilità. La qualità uscirà alla distanza.
Segui Smack!
Non dimenticarti di seguire Smack! – Blogzine per donne croniche su Facebook. Metti mi piace alla nostra pagina! Iscriviti anche alla nostra Newsletter cliccando sul form in Homepage oppure qui.
Lascia un commento