Che rapporto hai con l’incertezza? Io non sono proprio bravissima a confrontarmi con questo misterioso fattore X. Sono il genere di donna che vorrebbe sapere tutto in anticipo, che prova anzi a trovare subito soluzioni, che magari poi saranno confutate dai fatti, per mettere a tacere i deliri della mente e i successivi tumulti del cuore. In poche parole: con me, «l’aspetta e vedrai, non angosciarti ora», non funziona. Figurati, io non ho nemmeno paura degli spoiler. Se una persona mi chiamasse tra pochi minuti per dirmi il finale de Il trono di spade probabilmente la abbraccerei per ore, perché avrebbe soddisfatto una mia curiosità.
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Incertezza, una definizione
Di tutte le definizioni presenti nel lemma del dizionario Treccani, quella che più si avvicina al mio concetto di incertezza è «mancanza di certezza per quanto riguarda gli esiti che una cosa può avere». Se sei una persona fondamentalmente razionale come me (non ci posso fare niente), questo sentimento è una tortura. Ti è mai capitato di farti un film mentale sulla mancata risposta a un tuo messaggio? O sei invece una persona che lascia correre, conscia che il tuo interlocutore abbia una vita da vivere? Ti spaventa sapere che su certe cose non hai alcun potere o al contrario gioisci perché in fondo la vita sa sorprenderti in mille maniere?
Ecco, io faccio davvero fatica a non conoscere «gli esiti che una cosa può avere». Capisci da te che questa mia condizione mi abbia creato non pochi problemi nei rapporti umani
Perché i rapporti umani richiedono una certa dose di coraggio
e soprattutto una capacità di accettare/accogliere tutto quello che non dipende dalla razionalità, dalla precisione matematica. In sintesi: quando hai a che fare con un essere umano senziente non puoi essere razionale. Né anticipare (o instradare) le mosse dell’altro. È una questione di tempi e tempo. Soprattutto non dovresti entrare in crisi su sciocchezze cosmiche.
Cosa c’entra questo con l’incertezza?
C’entra perché, appunto, quando si scrive a qualcuno e non si hanno risposte immediate, subito si entra in uno psicodramma degno di una pièce dell’assurdo. Visualizza ma non risponde, consegnato ma non letto sono solo alcune delle situazioni che la modernità delle comunicazioni ci ha regalato. E mi chiedo: ma come facevano durante le guerre a scriversi e a aspettare per settimane, mesi la risposta dell’amato o dell’amata? Come riuscivano a non impazzire durante l’attesa, a non ipotizzare catastrofi, a non soffrire.
Non ho una risposta certa, ma presumo che combattere al fronte e specularmente restare a casa a mandare avanti una famiglia siano motivazioni più che sufficienti a non farsi travolgere dal caos. Come sempre la soluzione sta nel vivere qui ed ora.
Fortunatamente mi sto allenando a non tenere sempre tutto sotto controllo. Non ci credi?
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