Questo mondo mi fa paura. Mi fa paura la violenza di certe persone che non sanno cosa sia l’umanità. Ho terrore di chi alza sempre la voce perché così ritiene di avere più ragione dell’altro. Che male avrà mai fatto poi questo fantomatico altro da doversi sempre meritare una sonora lezione. Degli amministratori della Res Publica non ne parlerei, perché rischierei di forzare la mia natura pacifica con una serie di epiteti non appropriati. E non rischio di sicuro. Poche cose però accendono il mio disgusto come le inutili discussioni attorno al 25 aprile. Inutili, perché la Festa della Liberazione è festa di tutti. Celebriamo la fine della guerra e l’inizio di una rinascita lunga e laboriosa. Celebriamo la fine di una dittatura che ha portato solo disperazione e impoverimento culturale.
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Liberazione. Foto Mondadori Portfolio
Io festeggio come ho sempre fatto nei miei 43 anni di vita, anche se per arrivare ad una coscienza politica solida ho impiegato tanto tempo. E allora festeggio anche per questo, perché nella vita ci si può costruire anche una solida identità politica. Come? Facendosi sempre domande precise e avendo anche il fegato di trovare risposte scomode.
Quindi il 25 aprile è davvero per tutti e di tutti. È paradossale che siano gli stessi politici ad appellarsi a un non meglio identificato diritto di ignorare una tappa essenziale della nostra storia patria. Senza la quale nessuno di loro sarebbe lì. Sarebbe un po’ come essere presenti al Family Day e aver, che so, divorziato due volte. Strano.
Io festeggio la Liberazione perché mi inorgoglisco al pensiero che per una volta nella vita di questo Paese anarchico, un gruppo di persone è stato più forte del nemico e ha combattuto per la libertà di ogni singolo cittadino. E festeggio anche perché mi emozionano gli esseri umani che resistono alla violenza e dicono NO. E non (solo) perché hanno fame e non ne possono più di combattere, ma perché è giusto. Giusto.
Festeggio perché è giusto.
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