A volte mi chiedo perché debba mettermi a nudo così tanto, rivelando cose di me che davvero non è necessario far conoscere al mondo. Io, poi, che a dispetto di un carattere ottimista e positivo resto sempre una castagna chiusa in un riccio. La risposta è tuttavia semplice. In certi periodi della vita ricostruisco pezzi interi della mia esistenza. Vado indietro nel tempo e comincio a vedere, sentire, la me stessa di qualche anno prima. Gennaio è uno di quei periodi. È il mese più pesante perché ricorre l’anniversario di morte dei miei genitori, perché da qui comincia l’anno e raccolgo le energie per ripartire. Perché cerco sempre qualcosa che possa illuminarmi sempre di più. Questo qualcosa è stata la visione del capolavoro di Antonio Pietrangeli, Io la conoscevo bene. Fatti un regalo, vedilo anche tu.
Come fai a scrivere che volevi bene a tua madre ma che ad un certo punto della sua vita ti ha fatto un male bestia? Che il suo buco nero stava diventando il mio buco nero? Ecco, l’ho scritto e ora mi sento meglio. Sono convinta che le cose non succedano mai per caso. Vedere questo film in una domenica pigra, in condizioni fisiche ancora precarie, ha avuto un valore enorme.
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Stefania Sandrelli
Io la conoscevo bene. O forse no
Che film meraviglioso quello di Antonio Pietrangeli. Un grido d’accusa contro l’anaffettività di certi uomini e al tempo stesso una carezza dolce nei confronti di una donna fragile come la protagonista, Adriana. Se penso che Stefania Sandrelli avesse solo 19 anni quando l’ha interpretata mi rendo conto che il talento sia una cosa pura, scandalosamente evidente.
Ad ogni modo, questo post non è la recensione del film, che ti consiglio di recuperare (lo puoi (ri)vedere su CHILI), ma è un modo diverso di parlare di mia madre.
Maria è morta il 23 gennaio del 2008 e da quel giorno ho dato corpo ad una separazione su cui stavo lavorando da anni. Perché spesso ci si identifica con i propri genitori, si diventa come loro, si combattono le loro battaglie e si ha paura degli stessi mostri. Ma non dovrebbe essere così. È la nostra vita che è in gioco ed è per la nostra identità che bisogna vivere.
Da quel giorno insomma, sono davvero stata sola
(nel senso più bello e pieno della parola). Pian piano ho riletto e rivisto la vita di mamma, il suo dolore, i suoi mostri e li ho lasciati andare.
Adriana e mamma avevano molti punti in comune
Il primo, una bellezza quasi scandalosa. Sai, non era semplice in quegli anni realizzare che la propria avvenenza non fosse una condanna, ma semplicemente una parte dell’essere.
Mia madre non aveva bisogno di esagerare, era davvero meravigliosa, eppure quel suo aspetto fisico così angelico non ha mai rappresentato un valore, come se avesse avuto timore di essere troppo rispetto a chiunque altro. Mi raccontava spesso di venire mortificata dai suoi fratelli, che le impedivano di truccarsi.
Adriana conosceva bene il suo potere, ma anche in questo caso un corpo perfetto ed un volto incantevole non l’hanno mai messa al riparo da delusioni, anzi. Nessuno tra gli uomini che ha avuto è stato in grado di amarla davvero (forse solo il povero Bietolone e il figlio del portiere). Si era legata a tutti, ricevendo in cambio ben poca cosa. Mamma si era legata solo a papà e in cambio ha ricevuto tre figli, alcuni momenti di grande tenerezza e tanti scontri.
Gli anni ’60 di Io la conoscevo bene
Il mondo stava cambiando, si cominciava a lottare per i diritti civili e per la libertà sessuale. Ma Adriana, che non aveva problemi a concedersi, era considerata alla stregua di una prostituta (la sequenza del cinegiornale). E mia madre oltre determinati limiti non è mai andata. Anche se più di una volta l’ho stuzzicata su certi argomenti. Arrossiva e cambiava discorso.
Cosa mancava a loro due? Quel filo rosso che unisse tutte le parti della loro identità. E l’aggettivo rosso non è casuale, perché allude ad una vitalità spesso difficile da mantenere. Immagina se ti togliessero la corrente di punto in bianco. Cosa faresti? Adriana si è tolta la vita. Mia madre si è ammalata di depressione, rinunciando a vivere. Era doloroso vederla. E resistere alla sua violenza inconsapevole è stato ancor più difficile. Ma oggi che non c’è più le voglio bene più che mai, forse perché ho cominciato a essere diversa da lei.
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