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Papà, facciamoci quattro chiacchiere e una cantata

Il 6 gennaio del 2008 è morto il mio papà. Il 5 gennaio 2008, prima di andare dormire, non sapevo cosa sarebbe successo il giorno successivo. È questo a cui penso più di tutto, in certi momenti di calma. A quei gesti normali, naturali, a cui non ho dato peso.

Su Italia 1 trasmettevano La storia infinita, ad esempio. Me ne stavo sul lettone accoccolata a mamma e cominciai a vederlo, piangendo come una fontana. In quel momento stavo attraversando la mia personale palude della tristezza, cercando di aggrapparmi a qualcosa che non riuscivo ancora a vedere nitidamente.

Leggi anche: Vacanze, quella bellezza che non ti abbandona mai

Papà, un'immagine del maggio 1969

Papà, grazie

Ho pensato a lungo se scrivere questo post o meno. A dispetto della mia leggerezza e della cronica voglia di raccontare, resto una donna piuttosto riservata, soprattutto quando si parla di sentimenti. Mi hanno rimproverata più volte per questa caratteristica. Alla fine però mi sono decisa a farlo e per un motivo piuttosto semplice: a papà non ho mai detto grazie.

Grazie per i gesti di affetto smisurati e per avermi sempre sostenuta. Per avermi amata incondizionatamente, a volte senza riuscire ad esprimerlo. Voglio ringraziarlo per i suoi innumerevoli sbagli che mi hanno resa furibonda, per le discussioni e le trattative. Gli dico grazie per la tenerezza che riusciva a mascherare, ma che stava lì, fortissima.

Grazie per la Lazio, per Totò, per la musica che mi ha fatto amare, per l’ironia e grazie per come si scioglieva ogni volta che mi guardava.

Sono passati 11 anni

un tempo in cui sono successe cose belle e meno belle, anni in cui la memoria delle sue manone calde e grandi è stata più forte della rabbia.

Ancora è vivido il ricordo del bellissimo sogno fatto al termine di quella giornata straziante. Papà tornava a casa sorridente con della pizza, felice di vedere la sua famiglia andargli incontro. Il sogno era tutto quel sorriso.

Un sorriso da bambino

L’espressione dei poeti prima di scrivere un verso. Poeta non lo è mai stato, ma musicista sì. Fragile, chiuso in sé, eppure disposto ad aprirsi, in pochi splendenti momenti di luce.

Alle volte anche io non mi riesco a lasciar andare completamente, c’è un infinitesimale pezzo del mio cuore che se ne resta da solo sulla cima di una montagna; ma ho imparato nel tempo a dar spazio ai miei momenti splendenti di luce.

E in questi c’è sempre stato lui.

L’ho amato, forse non quanto avrei potuto, e mi ha fatto arrabbiare, quasi fino a respingermi, ma a un certo punto la sua mano l’ho afferrata e questo mi ha salvata. Non so se abbia salvato lui, ne dubito.

Eppure, lo spero.

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Francesca Fiorentino
Francesca Fiorentino
Giornalista professionista e podcaster, scrivo, cucino e faccio ridere, non sempre in quest'ordine. Amo la radio, i film, le margherite, le magliette a righe, i regali inaspettati e i taccuini nuovi. Qui leggi il mio sito professionale


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