Questo è un post a cui tengo particolarmente, perché ho a cuore l’argomento di cui sto per parlarti: l’ipersensibilità. Di questo tema se ne fa un gran parlare grazie al libro di una bravissima scrittrice, Federica Bosco, che ho avuto l’onore di avere come prima ospite nel podcast Dueminutiescendo.
Sì, sono un’ipersensibile e me ne vanto. Non è una malattia, non è una sindrome psichiatrica è parte della mia identità umana. Ed è un discorso complesso. Molto complesso.
Ascolta l’intervista a Federica Bosco
Ipersensibilità, chi
Nel bel libro di Federica Bosco, Mi dicevano che ero troppo sensibile (Vallardi), c’è un breve test per capire se si è ipersensibili o meno.
Noi ipersensibili abbiamo avuto un’infanzia “anomala”.
In una classe di 30 bimbi scatenati, io ero quella in disparte e pensierosa. Alzare la mano e fare una domanda alla maestra? Non se ne parlava nemmeno! Meglio un disegno, via.
L’ipersensibile ha il radar.
Ce l’abbiamo e non possiamo farci nulla. Se sentiamo che qualcosa non va, qualcosa non va. Una volta mi sono sentita dire “Smettila di guardarmi, sembra che mi stai leggendo dentro”.
Abbiamo poi un mondo interiore ricco.
Non aggiungo altro perché di questo mondo interiore ricco ti ho parlato ampiamente. E se non ci credi leggi questo post.
Noi ipersensibili siamo ipercritici.
Dobbiamo essere perfetti e se non lo siamo iniziano i guai. Sbagliare (succede eh) provoca in noi uno sconquasso infinito.
Infine, siamo empatici.
Sentiamo il dolore e la gioia degli altri e li facciamo nostri. Siamo dei piccoli Yoda coccolosi, ascoltatori attenti e abbracciatori affettuosi. Parlare con noi è in una parola pacificante.
Ti ritrovi?
Ora, fatti due conti, mi pare che l’ipersensibilità sia una bella cosa. Basta”viverla” naturalmente, senza esserne schiavi e soprattutto senza dissociarsi dalla realtà. Essere unicorni, ovvero possedere la capacità di andare oltre la pesantezza del mondo, è bellissimo. Rinchiudersi in un mondo fantastico, no.
Meglio essere ipersensibili che non esserlo affatto, ovvio.
Tuttavia anche fluttuare senza direzione in un mare di sensazioni, alcune delle quali dolorose, può essere pericoloso. Sentire tutto e non comprendere niente è controproducente.
Mi spiego meglio: percepire la stilettata quando un presunto amico ti sta insultando sorridendo è un buon punto di partenza. Quello che è importante, però, è capire cosa si nasconda dietro a quel movimento subdolo e avere la forza di rifiutarlo.
Solo da poco ho imparato ad accorciare i miei tempi di reazione ad un’aggressione esterna, di valore X. Fino a qualche anno fa un’offesa o semplicemente una frase che mi stonava provocava riflessioni catastrofiche:
Oggi basta un “non sono d’accordo con te” per stare meglio e per dire all’altra persona che di fronte ha un essere umano da rispettare.
Dai che si può fare!
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