L’insalata è il metodo più efficace che l’Occidente ha inventato per tacitare il senso di colpa.
Se non avessimo radici cristiano-cattoliche, non la mangeremmo. Questo penso.
Molti di voi probabilmente la amano, amano mangiare insalata e la trovano deliziosa.
A me non piace, ci sono molte verdure squisite, ma non l’insalata. E per insalata intendo le foglie verdi, non le insalate così chiamate in quanto misto di verdure. No no, mi riferisco proprio all’erbaggio.
Che io detesto.
Quelle foglie verdi la cui consistenza varia dal moscio al croccante servono solo a ricordarci che siamo peccatori, perennemente. Sono uno spreco di terreni di coltura, di acqua e di energie.
Fondamentalmente non serve a niente, l’insalata, è come bere acqua verde.
Serve da riempitivo, tuttalpiù, nelle svariate declinazioni in cui ci siamo ingegnati ad impiegarla per farla sembrare meno noiosa e triste. Finire un pranzo o una cena con un’insalata è come passare da una spiaggia polinesiana a una tinozza di quartiere, come discorrere con Einstein e poi ricevere una lunga telefonata da uno zio rincoglionito, come guidare una Ferrari e poi salire sulla Panda, come vedere un film di Kubrick e poi essere obbligati a guardare il filmino del matrimonio degli amici.
L’espiazione, ecco cos’è: il bisogno malato di espiazione di non si sa quali colpe.
Quando entri in un bar per la pausa pranzo ci sono sempre molte insalate nel menù, ci infilano dentro l’avocado, le noci, le mele, il formaggio, il tonno, ma allora perché metterci la rucola?
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Perché la cattiveria alligna anche dove meno te l’aspetti.
Tu sai benissimo che vuoi mangiare le noci, il tonno, il formaggio, ma per farlo serenamente hai bisogno che siano celati da un cespuglio di “roba verde”. Non siamo onesti, in fondo. Non abbiamo il coraggio di mangiarci mezza forma di pecorino, una busta di noci, una scatoletta di tonno, no, ci vergogniamo delle nostre pulsioni alimentari e dobbiamo mettere a posto la coscienza.
Ma non è colpa dell’insalata, no.
La rucola e l’insalata verde non sono di per sé il male, ma finiscono per rappresentare il dark side del salutismo. Quello ottuso, non ragionato, che vuol mettere una pezza sui molti modi in cui ci facciamo del male. Perché ci sono molti modi gradevoli per farsi del bene, ci sono molte cose sane da mangiare che sono anche buone e non rispondono all’iconografia della tristezza.
L’insalata è ipocrita perché quelle foglie verdi non servono ad annullare le calorie che mangiamo, servono solo a creare un gioco di specchi che ci illude di essere migliori.
L’insalata è come la mamma che ti dice “devi fare i compiti”, anche a quarant’anni, come la suora che ti guarda con severità, all’asilo, perché hai imbrattato il muro, come andare in chiesa la domenica dopo che hai bestemmiato e fregato il prossimo ogni giorno della settimana.
Quindi in sostanza l’insalata è, filosoficamente, il lavacro di tutti i mali, la confessione in busta “pronta all’uso, prodotto già lavato”. La vocina che ti fa sentire una merda ma allo stesso tempo ti offre un’illusoria via di fuga a buon mercato, senza neanche la fatica di doverla pulire ben bene.
Più facile di così: ingozziamoci pure, tanto poi mangiamo l’insalata.
Almeno così la vedo io, e il senso di colpa è l’unico motivo per cui io mangio l’insalata. Cercherò nel mio passato, dovrò spulciare nel mio inconscio alla ricerca del punto di non ritorno che mi ha trasformato in una hater dell’insalata?
Ecco allora che la riflessione si dovrebbe spostare necessariamente, per arrivare alla conclusione che l’insalata non serve, è solo una convinzione radicata. Una superstizione inculcataci, fallace e crudele.
Non abbiamo bisogno di mangiarla
Fa solo colore, questo sì, è decorativa. Ma non sempre. Quando la vedo, stantia e depressa, adagiata su un piatto, quattro foglie morte che paiono essere state risucchiate della vita, prive di linfa, mi sembra di vedere la parabola dell’Occidente, della cultura tutta, della sinistra: l’avvizzimento, la perdita di senso, il bisogno di aggrapparsi a qualcosa.
Voglio scegliere la vita, voglio scegliere la gioia.
Quindi mangio la caponata.
Giovanna Daddi è nata nello stesso anno del movimento Punk. Ed è l’unica cosa che hanno in comune. Si diverte soprattutto a leggere e ogni tanto scrive cose. È impegnata costantemente nel tentativo, vano, di smettere di fumare. Odia volare.
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