Ricordo perfettamente il mio primo “incontro” con Philip Roth. Ero a Venezia, accreditata al festival, ed ero appena uscita dalla visione de La macchia Umana. Ad essere onesti il film era stato una delusione nonostante la presenza di Anthony Hopkins e di Nicole Kidman. Eppure qualche cosa continuava a riportarmi verso quella storia. Fino a quando un collega, di cui non ricordo più il nome ma che ringrazierò sempre, mi suggerì di leggere il romanzo. A suo dire, infatti, “era proprio tutta un’altra storia“.
Al mio ritorno a Roma seguo il consiglio e, con totale inconsapevolezza, inizio uno dei viaggi più avventurosi della mia vita. Fin dalle prime righe rimango catturata dalla prosa chiara, profonda, moderna e tagliente di Philip Roth. La macchia umana ha uno degli incipit più potenti nella storia della letteratura. Capace di trasportare immediatamente nell’occhio del ciclone e di sedurre con una forza imprevedibilmente virile. Non poteva che essere amore a prima lettura. Da quel momento mi sono trasformata nella più fedele delle innamorate, non riuscendo a staccare gli occhi dalle sue storie.
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Philip Roth, la controvita
Per oltre un anno Philip Roth mi ha seguita ovunque, nelle file alla posta, in metropolitana e nelle sale cinematografiche in attesa dell’inizio di un film. Più mi immergevo in quelle pagine, maggiore era il desiderio di continuare ad esplorare i suoi mondi. E, non senza una certa reticenza, di lasciarmi condurre sempre più in profondità fino a scoprire l’inimmaginabile.
La fine del sogno americano, la disillusione politica, il sesso, i rapporti carnali e quelli spirituali. Lo scandalo e ancora la storia, quella della sua famiglia che si intreccia con quella universale, e il profondo senso di appartenenza alle sue origini con cui si è dibattuto per gran parte della vita.
E, non ultimo, il viaggio più importante, quello di un figlio che, a confronto con la lenta fine del padre, si interroga sulla natura del proprio “patrimonio”, cercando di dare un ordine emotivo ad uno degli eventi più sconvolgenti nella vita. Un tragitto che, più di ogni altro, abbiamo compiuto insieme, rintracciando tra le righe sentimenti comuni, cadendo e fondendo un dolore già meditato e vissuto con uno ancora da comprendere. Quale donna non amerebbe follemente un uomo in grado di accompagnarla in tutto questo?
Roth scatenato
Capacità narrative a parte, credo il grande talento di Philip Roth risieda proprio in una particolare forma di empatia in grado di eliminare i ruoli fissi e creare un legame profondo con chi si trova dall’altra parte della pagina, spingendolo ad un confronto continuo. La sua letteratura non è certo roba da semplici spettatori o uditori. Per affrontare la sua cruda e nuda onestà ci vuole una buona dose di incoscienza e di coraggio. Due caratteristiche necessarie per lasciarsi andare ad un gioco di pensieri ed emozioni in cui di certo c’è solamente l’inizio.
Philip Roth, la sfida
Ecco, dunque, che in quel 2003 ho accettato una sfida senza mai pentirmene. Anche se questo ha voluto dire perdere certezze, guardare il mondo da nuovi e infiniti punti di vista, vedendo i contorni di alcuni concetti universalmente riconosciuti sempre più sfumati. È così che, nel corso degli anni la stessa definizione di peccato e le macchie con cui viviamo e che lasciamo come inevitabile conseguenza della nostra esistenza, per non parlare delle inevitabili debolezze, hanno acquisito nuovo significato. Liberandosi da qualsiasi preconcetto. Il tutto sempre fatto con assoluta onestà, senza mai nascondersi nonostante l’uso narrativo di un alter ego o l’avanzare della fragilità fisica. Per tutti questi motivi, dunque, mi sento di affermare che Philip Roth è e sarà l’uomo definitivo, quello in grado ancora di insegnare a vivere la vita. A tutti gli altri non rimane che il compito leggero di intrattenere.
Meet the author
Tiziana Morganti, giornalista, scrive con la stessa grazia di cinema e moda. È cultrice dei Kennedy di cui a mio avviso dovrebbe essere membro onorario. Tempo al tempo.
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