È il 2018 ed è ancora difficile evitare i numeri da circo per far coesistere lavoro e famiglia. Questo è il quadro che emerge dal rapporto di Save the Children, “Le Equilibriste. La maternità in Italia”. Per una donna, insomma, essere mamma e vivere con appagamento la propria identità professionale è ancora un miraggio. Soprattutto al Sud.
Il dato più deprimente evidenziato da questo rapporto è che l’Italia sia una nazione spaccata in due dal punto di vista dei servizi e delle opportunità date alle madre lavoratrici. Evito per il momento di farti un discorso ideologico sulla questione, perché molto ci sarebbe da dire su una “gestione” familiare che ricade inevitabilmente solo sulla super mamma di turno e che esaurisce la suddetta super mamma. Parliamo di numeri.
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Foto di Valeria Zoncoll su Unsplash
Mamma, l’equilibrio difficile
Le donne italiane decidono di diventare madri sempre più tardi. In Europa siamo al primo posto di questa particolare classifica. Fin qui nulla di clamoroso. La maternità non è uno schiocco di dita e la si affronta quando ci sono tutte le “credenziali”. Ovvero quando si è pronte internamente ad affrontare un salto così grande e quando le condizioni lavorative lo consentono.
Il problema è nella fase successiva. Costrette a scegliere tra professione e famiglia, le italiane spesso e mal volentieri mettono da parte i propri desideri per rimanere a casa. Il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva.
Perché? È presto detto. Una neo mamma non ha una rete di supporto che le permetta di lavorare in serenità.
La situazione è migliore al Nord, con le Province autonome di Bolzano e Trento rispettivamente al primo e secondo posto seguite da Valle D’Aosta, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte.
Al Sud la Campania risulta la regione peggiore in termini di supporto alla maternità, preceduta da Sicilia, Calabria (comunque in risalita), Puglia e Basilicata.
Mamma, un applauso per te
Adesso però mi prendo qualche secondo per mostrarti il mio pensiero sulla questione. Pensiero che è piuttosto articolato e che nasce dall’osservazione quotidiana di una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Essere madre non è un obbligo, non è automatico e soprattutto non è questo che rende una donna tale. Esiste la sacrosanta libertà di non voler mettere al mondo figli senza essere giudicate come Crudelia De Mon. Diventare mamma vuol dire avere una identità tale da vivere in maniera sana il rapporto con quell’essere umano così speciale che è tuo figlio. E ci può volere molto tempo per raggiungere questa armonia.
Però se il salto lo si fa con coscienza e con affettività, perché mai dovrebbe essere così complicata la famigerata “gestione” della famiglia?
Io le vedo tutti i giorni le mamme che lavorano (e tanto) e che non perdono mai il filo del rapporto con i propri figli. E sì, gli va fatto un applauso. Perché una donna realizzata è una madre migliore. Avrebbero dovuto rinunciare al lavoro o a diventare madri solo perché sapevano che sarebbe stato difficile? Bella fregatura.
Mamma, parliamo dei papà
Sapevi che in Svezia ai genitori spettano 480 giorni di congedo fino al compimento dei nove anni del bambino? Alla nascita del figlio hanno entrambi diritto a due settimane di congedo per avere la possibilità di accudire insieme il pargolo. Il resto dei giorni sono ripartiti in maniera precisa. 90 giorni al papà, 90 alla mamma e gli altri da spartire liberamente. Tutti e due i genitori comunque devono poter lavorare e stare col bimbo o la bimba.
Così, mentre la mamma è in ufficio, il papà rimane a casa con il piccolo. E viceversa. Più la divisione dei compiti è equa, maggiore è il guadagno per la famiglia che grazie al Jämställdhetsbonus, intasca anche un premio economico per il comportamento virtuoso. Questa legge, migliorata negli anni, risale al 1974.
E da noi come funziona? Be’, l’Italia non è la Svezia.
Made in Italy
Per chi diventa padre nel 2018, la legge di Bilancio 2017 stabilisce quattro giorni di congedo obbligatorio e uno di congedo facoltativo. La legge precedente del 2012 ne prevedeva uno obbligatorio e uno facoltativo. Usati, finora, solo da due papà su dieci.
Il congedo parentale invece è facoltativo, ha una durata di 10 mesi, cumulabili tra madre e padre, per un massimo di 6 mesi a genitore. Non è indolore a livello economico perché comporta una riduzione dello stipendio fino ai 6 anni di età del bambino.
Bene, anzi male. Crescere un figlio non è un’attività esclusiva di un’entità detta madre. È il frutto di un lavoro congiunto. Prima si comprende, meglio è. Per tutti.
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