Everyone’s irish on St. Patrick’s Day. Tutti sono irlandesi il giorno di San Patrizio. Per quanto mi riguarda questa è una verità che vale anche gli altri giorni. Per motivi che proverò a spiegarti infatti mi sento da sempre molto irlandese. L’isola di smeraldo è sempre stata un porto sicuro, una terra ideale che custodiva i miei sogni di ragazzina problematica.
E come ogni anno anche in questo giorno di San Patrizio provo un certo sollievo a rivedere certi film e a sentire quelle che considero le più belle canzoni fatte da artisti irlandesi. In effetti, tutto è partito dalla musica e dall’incontro con gli U2. È stata una conoscenza superficiale all’inizio. Poi ci siamo conosciuti meglio, poco alla volta. Ed è nato un grande amore che dura ancora oggi, anche se meno appassionato rispetto ai miei 20 anni. Insomma, è stato Larry Mullen jr a portarmi idealmente a Dublino la prima volta. E da lì non me ne sono mai andata.
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San Patrizio, kiss me I’m irish
Quando passi le giornate ascoltando solo gli U2 ti viene una voglia anomala di diventare irlandese. Durante le mie noiose vacanze estive nei tardi anni ’90 mi tappavo in casa, cuffie nelle orecchie e musica a volume irreale. E sognavo di poter vedere dal vivo Dublino e Howt e di visitare lo Slane Castle. Di partire e prendere l’aereo non se ne parlava nemmeno. Mi bastava solo immaginare. E studiare.
Erano anche gli anni dello studio puntiglioso della storia d’Irlanda. Della lettura del diario di Bobby Sands e dello studio comparato dei principali gruppi musicali irlandesi. In pratica, qualunque artista, anche il più abominevole, veniva considerato geniale solo per la sua irlandesità.
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San Patrizio, The Commitments e tutto il resto
Il discorso sull’irlandesità valeva anche per il cinema, ovviamente. In pochi anni mi ero rimessa in pari con l’intera produzione cinematografica irlandese. E con tutti i film che parlavano di Irlanda. Il regista poteva anche essere inglese, pazienza, ma per farti un esempio Stephen Frears e Alan Parker li assolvevo con formula piena.
In effetti l’Irlanda al cinema è nel bene e nel male soprattutto pop. Forse è per questo che una commedia cult come The Commitments ha fatto innamorare così tante persone della mia generazione (e solo a scriverlo mi sento vecchia).
E che dire di John Ford? Nato in America da genitori irlandesi, ha diretto quello che secondo me è uno dei film più belli ambientati in Irlanda, Un uomo tranquillo.
Hai presente la bellezza di Maureen O’Hara e dei suoi capelli rossi mossi dal vento? E hai presente John Wayne che la prende e la bacia? Ti faccio subito vedere.
In epoca moderna, e sono stata presa a lungo in giro per questa cosa, ho iniziato a seguire Michael Fassbender con grande interesse (sì, è un eufemismo). Bello, indubbiamente.
Ma anche bravissimo. E se non ci credi ascolta le sue parole su Hunger, film diretto da Steve McQueen che racconta la storia vera dell’attivista nordirlandese Bobby Sands e della protesta che organizzò nel carcere di Maze a Long Kesh, nel 1981.
Questo piccolo excursus termina con Daniel Day-Lewis e con un film come Nel nome del padre che ogni volta mi fa venire i brividi. La storia è quella di Jerry e Giuseppe Conlon, incriminati ingiustamente per un attentato dell’IRA e riconosciuti innocenti solo dopo molti anni.
San Patrizio, verde e Guinness
Chiudo questo post senza farlo davvero perché mi sono resa conto che avrei troppe altre cose da dire su questo mio amore per l’Irlanda e gli irlandesi. Ma il pensiero va a Michael. No, non Fassbender ahimè, ma un signore conosciuto quattro anni fa in un pub di Dublino. Saturo di birra aveva attaccato bottone con me e con la mia amica, ma senza mai risultare molesto. Aveva capito che eravamo italiane e cominciò a raccontarci la sua vita e della sua fidanzata manesca. Poi passò alla nostra descrizione. Di Gio’ disse che aveva gambe lunghe. E a me che avevo carattere.
Grazie Michael. Grazie Guinness.
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