Quando a settembre leggevo le recensioni dei colleghi impegnati a seguire il festival di Venezia, mi ero subito incuriosita. La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro, poi vincitore del Leone d’Oro e dell’Oscar al miglior film, era a detta di tutti un vero capolavoro.
Lo confesso, non mi fido mai della parola capolavoro. Posso giustificarla solo per una manciata di film nella storia. Tuttavia ne capisco il senso. Quando un’opera riesce a sconvolgerti, a rappresentare qualcosa che senti nel profondo, la percepisci come capolavoro. E vuoi che tutti la vedano in questa maniera. Ecco, La forma dell’acqua non è un capolavoro. Anche se ha parlato (fortissimamente) al mio cuore.
L’ho visto domenica scorsa, in un pomeriggio molto piovoso, mentre ardevo dal desiderio di conoscere i risultati elettorali. Quale perversione… E l’ho fatto a svariati giorni di distanza dalla sua uscita, perché volevo aspettare il momento giusto. Scelta azzeccata.
Leggi anche: Venezia 74, Del Toro vince il Leone d’Oro
La forma dell’acqua, la trama
Siamo a Baltimora, in piena Guerra Fredda. In una base militare si stanno compiendo esperimenti su una creatura anfibia che dovrebbe rappresentare una sorta di arma segreta per la conquista dello spazio. Un’addetta alle pulizie muta, Elisa, scopre la presenza di quel “mostro”. E non ne è spaventata. Lo nutre, gli fa compagnia. Se ne innamora. E con la complicità dell’amico Giles, un disegnatore omosessuale, della collega afroamericana Zelda e del dottor Hoffstetler (spia sovietica) lo porta a casa. Solo un essere malvagio può disprezzare un amore così bello, Mr. Strickland.
La forma dell’acqua, la forma della fiaba
Amore e Psiche, la bella e la bestia, giusto per dirti le prime due storie che mi vengono in mente, sono tra le fiabe più belle raccontate nei secoli. Storie tanto più appassionanti, quanto forte è la “diversità” dei due protagonisti. Una donna bellissima e una creatura mostruosa, che cela nel suo cuore un segreto potente.
Sono storie insomma che mostrano il rapporto uomo/donna in maniera diversa. Come una relazione che si muove su un livello irrazionale. Illogico.
La forma dell’acqua è questo: una favola d’amore che non nasconde però la bruttezza (e la violenza) della vita. Anzi, la rielabora in chiave diversa. Come elementi da rifiutare in toto e a cui resistere strenuamente.
La forma dell’acqua, la forma del cuore
Da un lato c’è una principessa senza voce, ma con gambe e scarpe che la fanno danzare (proprio come la sirenetta che cerca il suo principe). Dall’altro una bestia che in realtà è una magnifica divinità.
Elisa (che brava Sally Hawkins) vede e sente qualcosa di diverso in quella creatura e si abbandona a lei senza resistenze. In maniera struggente.
Tutto è racchiuso in quel primo piano luminoso in cui vediamo una nuova consapevolezza sul volto di Elisa. L’uomo pesce è là, nascosto nel suo bagno. E lei lascia la sicurezza di una vita solitaria per rischiare tutto.
Verde, il colore del futuro
La forma dell’acqua sembra un b-movie di fantascienza degli anni ’50 (da cui peraltro “ruba” la fisionomia del protagonista). Il futuro di cui parla è fatto di gomma e cartapesta, molto meno affascinante di quello che possa sembrare. Ci sono scienziati che tramano nell’ombra, uomini violenti che vogliono imporre il silenzio a tutte le donne e piccole comunità di “alieni” (l’illustratore gay, l’amica di colore), allontanati dalla società civile.
Tutti sono immersi in questo verde che uno dei personaggi definisce come il colore del futuro. Verde speranza? Certo. Ma è anche il verde che caratterizza i “diversi”.
In effetti è proprio il tono che contraddistingue le squame dell’uomo-pesce, i vestiti di Elisa e tutti gli ambienti costantemente bagnati dall’acqua.
Non puoi non amare Elisa e la sua dolcezza. Anche se a volte la sua sembra una storia artificiosa, costruita per commuovere. Ma come ti dicevo, c’è una verità di fondo che rende tutto molto umano. Ed è l’amore. Carnale, non solo immaginato. Tanto mi basta per ripensare a La forma dell’acqua con tenerezza.
Vedi il trailer di La forma dell’acqua
Non dimenticarti di seguire Smack! – Blogzine per donne croniche su Facebook. Metti mi piace alla nostra pagina!
Lascia un commento