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Sanremo, cronache del delirio (con playlist)

Accidenti quanto è difficile scrivere un post su Sanremo! Pensaci un secondo. Il Festival è uno dei pochi temi cultural-sociali a creare dibattito, anche aspro. Roba che a un certo punto vedi arrivare Bud Spencer e Terence Hill e cominciano tutti a picchiarsi.

Sanremo divide perché ha un’anima spaccata in due. È un grande carrozzone kitsch all’interno del quale dovresti trovare della grande musica. E invece, 8 su 10, becchi il brano melenso o di cattivo gusto. Però c’è anche la bellezza inaspettata di una canzone, che fatalmente si incolla ad un momento preciso della tua vita. È cronaca familiare, il racconto di un Paese bislacco e senza spina dorsale, a volte sorprendente.

Così, l’intellettuale snob evita il Festival come la peste perché è uno spettacolo “medio“. “Cosa? Sanremo? No, figurati io ascolto solo il free jazz punk inglese“.

L’intellettuale pop, che a suo modo è snob, lo vede invece con l’occhio dell’esperto e con lo stesso trasporto di Alberto Angela davanti all’accoppiamento di due triceratopi.

La signora Pina invece pregusta da mesi gli speciali di Verissimo, le pagelle di Enzo Miccio, le interviste ai sosia dei cantanti e gli articoli di Di Più sul rosario portafortuna che Albano ha sempre con sé.

Sanremo insomma è un grande delirio. E questo delirio l’ho raccontato da giornalista per tre edizioni, 2007, 2008 e 2009. Senza calcolare la lunga militanza da semplice spettatrice appassionata.

Abbastanza orgogliosa da sentirmi ferita ogni volta che qualcuno mi diceva che Sanremo fosse una colossale boiata. Eppure sufficientemente intelligente da capire che in effetti sì, nelle sue derive nazionalpopolari più becere, Sanremo è una boiata. Neanche Gollum.

Leggi anche: Festival di Sanremo, per IBS.it al momento vince Annalisa

Sanremo, il trio del Festival 2018

Perché Sanremo è Sanremo, no?

Puoi immaginarlo senza difficoltà. Per me, da sempre innamorata della kermesse canora e soprattutto della parola kermesse, essere a Sanremo era un sogno che si avverava. E come ogni sogno che si rispetti nascondeva insidie e trappole pericolose.

Alzarsi alle 6.00 e trottare tra sala stampa e alberghi fino alle 2 di notte dovrebbe rientrare di diritto nel novero degli sport olimpici.

Lo stesso vale per le riunioni di redazione quotidiane con un superiore che ti ripeteva, ogni 12 secondi, che l’intervista con Daniele Silvestri doveva durare almeno 7 minuti e 59 secondi, altrimenti il blocco delle 14.00 sarebbe andato a donne di facili costumi.

E poi non ce le metti le preoccupazioni per gli outfit? Business casual o reporter d’assalto? Centro sociale di periferia o intellettuale di fine secolo? Davanti agli occhi ho solo un’immagine: la sottoscritta in jeans e Converse bianche inserita in un gruppo radio d’assalto di 45 persone, tutte microfonate, con Ben Harper in mezzo.

Vivere e morire a Sanremo

Il mio festival funzionava così. In piedi alle 6, doccia e trucco. Molto trucco. Alle 7 si svegliavano gli altri compagni di lavoro con le palpebre ancora incollate, mentre io sembravo uscita da un atelier di alta moda dopo una seduta dal visagista delle dive.

Breve colazione, poi in giro per la città a fare la cosa più odiosa del mondo: il treno di voci. In pratica fermavo chiunque fosse in strada per farlo parlare del Festival. Ora, a Sanremo del Festival parlano tutti. Tranne quelli che beccavo io, ovviamente.

Cosa di cui mi non mi sarebbe importato nulla, anzi sarei stata totalmente solidale con loro, se solo non fossi stata minacciata qualche minuto prima dal suddetto superiore. “O porti le voci o non abbiamo niente“.

Sorridevo complice alla casalinga inquieta, cotonata e con calza a rete (alle 8.00), in un goffo tentativo di persuasione. Sfoderavo uno sguardo alla Bambi pure alla settantenne che chiedeva dove potesse rivedere la sua intervista. “Scusi ma che televisione è? Sta con Pippo Baudo?“. Pausa, respiro. “Signora cara, non siamo televisione. La nostra è una radio. O meglio, trasmettiamo su un centinaio di radio in Italia“.

Passati i 10 minuti canonici per spiegare cosa fosse una syndication, si proseguiva sempre sul filo dell’assurdo. “Sì ma dove mi vedo che lo dico a mia figlia“.

Vivere e morire all’Ariston

Dopo questo bagno d’umiltà pauroso, entravo in sala stampa per le conferenze di rito e il classico commento agli ascolti. “Fai qualche intervista sennò non abbiamo nulla“, mi diceva il collega. Chiaro. Ma chi avrei dovuto intervistare, l’usciere, l’addetto alle fotocopie, Mal dei Primitives che avrebbe commentato il Festival alla Vita in diretta? Detto tra noi se fosse stato lì Mal sarebbe stata una scelta vincente.

Finita l’abbuffata di conferenze, arrivava il tour degli alberghi in cui alloggiavano i cantanti. Le interviste singole, che dolce tormento. “Allora oggi fai Tizio, Caio e poi Sempronio. Poi torni qui e scrivi il pezzo per il giornale radio delle 19. Però… No dai, lo scrivo io. Ma tu fai quello delle 20. Così mi metto a tagliare qualche insert. Sennò non abbiamo nulla“.

Tra le interviste che ricordo con più dolcezza c’è quella con Tricarico che rispose con 20 monosillabi in un minuto. Un record angosciante bilanciato solo dalla spropositata quantità di domande che provavo a rilanciargli. Mancava solo che parlassimo della prima comunione.

Il teatro Ariston è molto più piccolo rispetto a quanto si vede in televisione, ma la sala stampa è davvero grande. Io e il collega stavamo nelle retrovie, circondati da ogni genere di cavi, perché era proprio da lì che andavamo in diretta radiofonica, dalle 23.00 alle 2.00. La parte più divertente di quel tour de force era il commento live della serata. Tramortita dal Barolo gentilmente offerto dalla Regione Piemonte che all’epoca patrocinava la cena buffet, mi esaltavo nel sistematico massacro degli ospiti e dei cantanti.

Uno spasso condiviso con gli altri compagni di avventura con cui si creava un legame davvero molto forte in quei giorni assurdi. Fino a quando l’incantesimo non svaniva.

“Oh, mi raccomando domani mattina le voci eh. Sennò non abbiamo nulla“.

Sanremo è Sanremo, è ufficiale

Di’ quello che vuoi, rispetto il tuo pensiero, ma il Festival di Sanremo è un guilty pleasure a cui non so rinunciare. Acquisto ancora TV Sorrisi e Canzoni con i testi dei brani in gara e inizio a studiarli uno per uno. Da piccola registravo le audiocassette dalla radio, tagliando opportunamente i commenti da studio e le pubblicità.

E al termine dell’esibizione, il voto. Gli 8 erano rarissimi ma è capitato di metterli. Vuoi qualche esempio? Allora ascolta la mia playlist personale di Sanremo. Non sono tante canzoni, è vero, ma sono a mio parere tra le più belle che sono state presentate al Festival. In tempi recenti, naturalmente.

Preparati, sarà una lunga settimana.

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Francesca Fiorentino
Francesca Fiorentino
Giornalista professionista e podcaster, scrivo, cucino e faccio ridere, non sempre in quest'ordine. Amo la radio, i film, le margherite, le magliette a righe, i regali inaspettati e i taccuini nuovi. Qui leggi il mio sito professionale


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