Di cosa parliamo quando parliamo di giornalismo? È un mestiere come un altro, una missione, l’esercizio continuo di difesa della verità? La risposta che dà l’ultimo bellissimo film di Steven Spielberg, The Post, è una sola. Il giornalismo è passione. Il giornalista è un professionista che riferisce ciò che accade. Rende noto qualcosa che prima del suo intervento era sconosciuto. Ne approfondisce gli aspetti più oscuri. Scopre ciò che non va, alla ricerca delle cose che non tornano. Del dettaglio che stona in un puzzle apparentemente perfetto.
Il cronista brucia dal desiderio di raccontare. Ama e insieme soffre per questa condizione. Sogna lo scoop della vita e lo fa per incauto egoismo, ma quando questa smania serve a smascherare una bugia che rischia di essere un peso per tutta la collettività, non esiste ricompensa migliore.
The Post, la storia
Scritto da Liz Hannah e Josh Singer The Post racconta la vera storia dell’editrice del Washington Post, Katharine Graham e del direttore del quotidiano, Ben Bradlee. Prima che il Post diventasse il leggendario quotidiano che tutti conosciamo era solo un piccolo giornale di proprietà di una donna che non sapeva come gestire quel compito.
Per la signora Graham l’eredità ricevuta dal marito, morto suicida, è una iattura. Almeno fino a quando il nome del Post non finisce al centro di un’indagine clamorosa: la pubblicazione dei Pentagon Papers.
Documenti riservati che testimoniavano come il governo americano sapesse con certezza che la guerra in Vietnam sarebbe stata un fallimento. Mentre Bradlee suggerisce a Katharine di rendere noto il dossier, seguendo la scia del New York Times, il consiglio d’amministrazione del Washington Post, pronto all’entrata in borsa, spinge in direzione contraria.
Katharine sceglie di pubblicare la notizia. Anche a costo di rompere l’amicizia con l’ex segretario alla difesa Robert McNamara che aveva commissionato quello studio nel 1967. L’ingiunzione del presidente Richard Nixon serve solo a portare il caso alla Corte Suprema che si esprime in favore della Graham e della libertà di stampa, con una sentenza che di fatto cambia la storia del giornalismo.
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The Post, il coraggio di una donna
Di tutte le scene di The Post ce n’è una che mi ha particolarmente emozionata. La protagonista esce dalla Corte Suprema e scende le scale mentre un gruppo di ragazze la guarda piene di ammirazione.
La sequenza è breve ma racchiude tantissime cose. Dice di una donna che ha appena vinto la sua guerra personale contro l’idea malsana di valere poco. Ed è una vittoria talmente eclatante che Spielberg la mostra al rallentatore. Come se ogni passo valesse una vita intera. Come se Kay trovasse in quel momento la sua identità.
Dice pure di un testimone pesantissimo che viene passato alle generazioni future. Perché The Post è anche un film sul presente. E sull’arroganza del potere.
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The Post, una lezione di cinema
Il giornalismo è una professione scomoda. Daresti una gamba per avere una notizia rilevante e poterla pubblicare, anche a costo di stare in mezzo alla melma. Spielberg mostra alla perfezione questa urgenza, l’interesse totale (un filo egocentrico e maniacale) per la possibilità di raccontare storie. Che poi è la sua stessa passione da sempre.
È vero, i reporter sono vincolati alla verità sostanziale dei fatti, non devono essere “romanzieri”, ma andare dritti al punto. La capacità di tenere incollati un lettore/spettatore è però la medesima. E Steven Spielberg sul terreno dello spettacolo puro non conosce rivali.
È il dio invisibile che si nasconde in ogni particolare del film, che tiene i fili del racconto e ti fa innamorare di uno scatolone messo sul sedile di un aereo.
Ti consiglio allora di vedere questo film, non solo per capire una volta per tutte che la stampa deve essere al servizio dei governati e non dei governatori, ma per godere di una storia che ti farà attorcigliare sulla poltroncina del cinema. E per gioire della bravura di una squadra di attori perfetti, tra cui Tom Hanks e Meryl Streep, candidata all’Oscar.
Guarda il trailer di The Post
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