Ho sempre scritto in maniera troppo semplice. È una condanna. Soprattutto se fai (anche) il critico cinematografico. Ed è un difetto che negli anni si è amplificato a dismisura, fino a scrivere recensioni del tipo “Il film va visto perché è bello“. Ho combattuto per diverso tempo contro questa mia tendenza a sintetizzare, direi scarnificare, ma c’è stato ben poco da fare. Quando scrivi giornali radio a rotta di collo e il massimo che ti è concesso per un servizio è 50 secondi, impari a ottimizzare spazi e tempi.
Proprio per questo ho sempre trovato molta difficoltà a conciliare questa mia indole con la critica cinematografica.
La critica, vedi, è una disciplina. Essa ha un codice e un linguaggio specifici che illustrano un pensiero preciso su un’opera d’arte peculiare: il film.
Nel calcio le squadre sono “sparagnine” e i tiri sono “cincischiati“. Quando si parla di film, “la verticalità dello sguardo del regista disegna panorami surreali“. Da qui il bisogno di avvalersi di un dizionario.
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Critico, critica, critiche
Tra i lavori intellettuali il mestiere di critico cinematografico, e per estensione il giornalista cinematografico, è probabilmente il più bello di tutti e anche il più ingrato. Leggo spesso commenti di lettori furibondi con il critico di turno per aver osato contraddire una loro idea.
Non mancano nemmeno le risposte dei registi alle recensioni “cattive”. Il range è vario e va da “Non sai chi sono io, da domani non scrivi più” a “Rifletti su quello che stai per scrivere perché stai insultando tutte le famiglie delle maestranze“.
Ci vogliono calma e sangue freddo insomma per fare un lavoro essenzialmente inutile, vale a dire senza alcuna utilità oggettiva se non il solo studio appassionato del film.
Il critico è un mezzo. Si pone a metà tra opera d’arte e lettore. Non per educare o indottrinare, ma a mio parere per dare un punto di vista differente. Deve invitare a riflettere su un determinato tema. Far crollare certezze, insomma. Il lettore ci deve stare. E magari farsi sorprendere da un pensiero completamente diverso dal suo.
Quello che rimprovero a certi colleghi è a volte di essere troppo oscuri. Di cercare la frase a effetto, di specchiarsi nella loro infinita conoscenza dell’argomento. La semplicità non è necessariamente un male.
Il piccolo dizionario del critico parte prima
Questo dizionario è un compendio utile per tradurre in italiano (o in una lingua familiare) l’ardita sintassi del critico.
- Il film è magnifico: Il film è OBBLIGATORIAMENTE bello.
- Il film è epocale: Adesso non lo capisci granché, ma tra vent’anni ne parleranno. Cerca di ricordarlo.
- La sequenza è dilaniante: Prima di vederla stavi tanto bene.
- Il finale è lancinante: Dopo aver visto il film comincerai a stare male.
- Epifanie di senso si rincorrono: Ad un certo punto comprendi qualcosa, poi te lo perdi.
- Una serie di cortocircuiti antinomici puntellano il racconto: C’è un grosso macello.
- La mise en abyme è vertiginosa: Quando un personaggio sogna di sognare, prende uno specchio e lo fa riflettere in uno specchio. Che potrebbe non essere uno specchio ma un vassoio d’argento.
- L’innesco metacinematografico: Sai quando il regista vuol fare vedere che è il regista e ti fa capire che sta dirigendo e tu sai che sei lo spettatore perché vedi il regista che sta dirigendo? Ecco, quello.
Il piccolo dizionario del critico parte seconda
- Le battute sono formulaiche: Hanno scritto delle cose convenzionali.
- Le battute sono convenzionali: Hanno scritto delle cose banali. La parola banale esiste.
- Il cinismo tonificante dell’autore: Il regista è stronzo, ma se ti invita a cena, accetta.
- Opera abissale: Sinonimo di grande, incommensurabile, profonda. Solo che grande, incommensurabile, profonda pareva brutto usarli, così si usa il termine abissale che contiene anche una connotazione lievemente negativa. Come se finissi in una voragine senza poterne uscire più. Se di un film dicono che è un “abissale capolavoro” credici, ma preparati perché otto volte su dieci ti stanno parlando bene di un film strano. Non grande, ma abissale appunto.
- Il film è onestamente definitivo: Dopo questo, la morte.
- Il regista lavora in sottrazione: Si è impegnato poco.
- La narrazione si incastra in una catarsi irrisolta: Il racconto non quaglia.
- Urgenza: Esigenza di esprimere un’idea di mondo. Si confonde facilmente con il bisogno fisiologico, ma si distanzia da esso per le profonde implicazioni filosofiche e religiose.
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