Questo post avrebbe dovuto essere scritto ieri, ma ho voluto concedermi la libertà di aspettare qualche ora. Perché avevo bisogno di un po’ di tempo in più per lasciar sedimentare i pensieri che ormai da mesi si stanno rincorrendo nella mia testa. Ed eccomi qui, a commentare la bellissima copertina di Time dedicata alla persona dell’anno. E in questo 2017 che sta per finire le protagoniste sono tante. Sono le donne coraggiose che hanno rotto il silenzio sulle molestie sessuali subite. Donne che hanno detto forte il loro “no”, che in certi casi hanno pagato in prima persona per questa forza.
La cover è epocale per diversi motivi. Il primo, il più importante per me, è che Time toglie queste donne dall’ombra. E ci dice chiaramente che non le possiamo ignorare. Non possiamo fare finta che tutto questo non sia successo. Sono lì, guardale.
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Time to break the silence
Sta a noi, adesso, raccogliere questo messaggio e far sì che dal semplice chiacchiericcio, dalla gogna mediatica che fa tanta paura, si passi a un discorso culturale più profondo sulla donna. Che è ancora considerata un oggetto.
Il punto però è che il problema non si vede. L’elefante sta lì, in mezzo alla cristalleria, eppure ci si gira intorno. Provo a dirtelo in poche parole. Ci sono uomini (ma definirli tali è un complimento) che hanno sistematicamente esercitato il proprio potere attraverso molestie sessuali. È un fatto. Ed è illecito. È la norma? Cambiamo la norma, allora.
Eppure, da noi si discute ancora se sia giusto o meno denunciare ad anni di distanza dai fatti. Certo che è giusto. Dobbiamo parlare, urlare, dobbiamo denunciare, sempre, fino a quando non sarà più necessario farlo.
Sì, i processi si fanno in aula. La speranza però è che si facciano, che gli accusati abbiano la possibilità di difendersi, come legge vuole, ma che le vittime siano credute. E se una persona, donna o uomo, subisce una molestia e vuole denunciare, deve essere supportata e non scoraggiata.
Ho letto invece di attrici che hanno liquidato la denuncia di una loro collega come ricerca spasmodica di pubblicità per non aver fatto carriera. Che pensiero violento.
Non una di meno
Non ci sono vittime più vittime di altre (mi è capitato di leggere anche questo, ahimè) perché in questo modo si perde di vista l’universalità del tema. È naturale che una donna stuprata e uccisa rispetto a un’attrice che denuncia un tycoon abbia un’importanza diversa. Ma, fatte le sacrosante differenze, sono entrambe il frutto di un sistema che non protegge chi ha più bisogno. E se ti stai chiedendo perché mai le donne devono essere rappresentate solo come creature deboli ti rispondo che infatti non deve essere così. Arriviamoci però a questo traguardo, perché fino ad oggi questa è stata la storia.
Non parlo per appartenenza a una squadra. Le donne idiote sono idiote. Coloro che scelgono di venire a patti con la propria coscienza sanno a cosa vanno incontro. E non difendo nessuno a priori per la consonanza a un genere. Non mi piace però che si chiudano gli occhi davanti ad una cosa semplice: qualsiasi atto sessuale non consenziente, ovviamente se avvenuto, è violenza. Anche se la donna che subisce violenza fosse una prostituta.
Time e le donne
Ne sono state scelte 5 di donne, ma su quella copertina c’è una moltitudine, una folla indistinta di madri, figlie, sorelle, amiche. Ognuna con una storia, un’identità.
Ashley Judd è stata una delle prime a denunciare Harvey Weinstein. Susan Fowler, ingegnere di Uber, dal suo blog ha accusato l’azienda di misoginia. Adama Iwu che ha creato il portale We said enough, che permette la denuncia degli abusi. La popstar Taylor Swift ha vinto una causa contro il dj David Mueller, accusato di averla palpeggiata durante uno show. E Isabel Pascual, nome fittizio di una lavoratrice di un’azienda agricola, è stata minacciata dopo aver denunciato le molestie sessuali subite.
Andiamo oltre, allora, e accettiamo la sfida di Time a rompere il silenzio. Prendiamo come esempio queste donne coraggiose. Appoggiamole e supportiamoci. Ogni giorno e in ogni situazione.
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