Regista, attore, drammaturgo, sceneggiatore. Massimiliano Bruno ha raggiunto dei traguardi molto importanti, ma non è certo uno che si accontenta. Così, ha deciso di rischiare e di mettersi alla prova con il romanzo. Più o meno come se una persona, dopo aver vinto 10 volte al tavolo della roulette, tentasse la sorte e provasse a portarsi a casa pure l’undicesima mano. E per me ha vinto.
Non fate come me (Rizzoli) è un libro bello e ben scritto. È facile immedesimarsi con il protagonista Ruben, un uomo che decide di ribellarsi davvero ad una vita triste e senza speranza. Ti dico di più, è un romanzo che ti sfida proponendoti una lunga serie di riflessioni. Sul rapporto uomo-donna e sulle gabbie in cui spesso e volentieri ci rinchiudiamo. Sulle separazioni. E non mi riferisco solo a quelle sentimentali. Perché la vita è fatta di tante separazioni.
La trama
Ruben è un giornalista sportivo, depresso e imbruttito. Un giorno assiste ad un incidente in cui muore una ragazza. E la sua vita cambia. Decide così di ricominciare a marciare e, accompagnato dalla nipote Beatrice, prova a sciogliere tutti i nodi esistenziali più angoscianti. Primo fra tutti, il rapporto con le donne. Dalla madre, una signora che si ostina a friggere tutto, al grande amore Jessie. Una ragazza piena di passione che lo mette in crisi con la sua libertà.
Leggi: Non fate come me, l’esordio letterario di Massimiliano Bruno
Massimiliano Bruno e Ruben
Ho molto apprezzato il fatto che tu non abbia scelto l’effetto comico a tutti i costi. Il tuo è un libro leggero, ma profondo. È stata una scelta voluta la tua o è stato un esito per così dire naturale, connaturato alla storia?
È il mio modo di esprimermi quando non ho ansie “da incasso”. Anche in teatro ho scritto tante cose che erano amare. Romanzi e monologhi ti danno la possibilità di tirare fuori tante cose, anche quelle meno commerciali. Nel caso di Non fate come me è stata una necessità scrivere i miei pensieri più profondi.
I personaggi femminili sono molto belli. Alcuni angoscianti. Mamma Tina e Mary sono la castrazione. Beatrice e Jessie, la libertà, il desiderio. Quanto conta l’osservazione del mondo femminile nel tuo lavoro?
Guarda, vengo da talmente tanti anni di incapacità di riconoscimento dell’identità femminile che negli ultimi anni curare questo aspetto fondamentale della mia vita mi ha dato la forza per affrontare qualsiasi cosa. I rapporti sono spesso incastri in cui noi siamo complici/colpevoli della violenza altrui. Per una madre che vuole che ti identifichi con lei c’è sempre un figlio o una figlia che accoglie la proposta e annulla la sua identità.
Massimiliano Bruno: “La comprensione dell’universo femminile deve essere l’argomento principale di studio per gli uomini”
Per ogni donna che vuole castrare c’è un uomo che accetta di essere castrato. Per fortuna ci sono anche donne che propongono rapporti sinceri e spietatamente affettivi, dobbiamo rivolgerci a loro per vivere bene il rapporto uomo/donna. E poi dobbiamo sforzarci per essere alla loro altezza. L’osservazione e la comprensione dell’universo femminile deve essere l’argomento principale di studio per gli uomini, altrimenti “Benvenuta depressione”.
Ruben dice di amare Jessie, ma la respinge per lo stesso motivo per cui viene attratto da lei. Cos’è che fa tanta paura di queste donne libere?
Culturalmente e religiosamente la donna emancipata terrorizza l’uomo. Eva fu disegnata come una peccatrice, causa di tutti i mali, perché mangiò la mela (della conoscenza). Ipazia, punto di riferimento per i suoi allievi, fu massacrata perché ambiva alla cultura e al sapere. Fa paura ed è scomodo per la maggior parte degli uomini riconoscere le donne e diventa quasi impossibile accettare che siamo uguali e diversi contemporaneamente.
Massimiliano Bruno: “Questo libro, una grande realizzazione umana”
Scipione è un personaggio essenziale del tuo romanzo. Possiede la saggezza di Yoda, ma è umano, anzi umanissimo. Ti scopre se sei “sporco”. E ha una grande capacità di leggere dentro. Hai mai avuto uno Scipione nella tua vita?
Per fortuna (e per merito) sì, ce l’ho avuto. In un mondo in cui genitori, amici, artisti, politici, direttori di giornali ed intellettuali ti raccontano un mucchio di sciocchezze, fomentano pensieri violenti ed annullanti e cercano di far passare un inutile pensiero freudiano, perdente e depresso, io ho incontrato una persona che ha cominciato a dirmi cose intelligenti. È accaduto una decina di anni fa ed è stato fondamentale per la mia crescita personale ed artistica. Il resto provo a farlo da solo, non sempre con buoni risultati. Ma almeno ci provo.
C’è stato un momento difficile nella scrittura del libro, uno scoglio che è stato duro da superare ma che poi si è rivelato liberatorio?
L’ultimo capitolo. Il resto l’ho scritto come un flusso e quello che leggi è essenzialmente la prima stesura che ho buttato giù. Ma su quelle poche pagine finali ci ho lavorato per un mese. Volevo che la ragione e l’inconscio fossero in bilico, che fossero la stessa cosa. Volevo camminare sul crinale della realtà dando grande importanza al sogno.
Questo romanzo è la tua realizzazione professionale più importante?
Non professionale, ma umana. Sì, è una mia grande realizzazione umana. E credo di avere scritto forse le mia pagine più vere.
Cosa diresti ad un uomo come Ruben, se potessi parlargli a quattr’occhi?
Di reagire fino all’ultimo respiro, di non mollare mai la strada della conoscenza, di essere un rivoluzionario pure quando il corpo darà forfait. Gli direi di rispettare se stesso e il mondo femminile, lo pregherei di non buttarsi troppo giù quando sbaglia e di fare sogni sempre più belli. Gli suggerirei di fare resistenza.
Massimiliano Bruno: “Dipende tutto da noi”
Io Ruben me lo sono già immaginata, l’ho già visto al cinema. Ma se sto correndo troppo, fermami…
Non ti nascondo che mi piacerebbe farne un film. Se ci riesco giuro che sarai la prima a saperlo.
L’ultima domanda è sul rifiuto. Perché è tanto complicato dire no?
Perché veniamo da una cultura basata sulla frustrazione continua della persona. Veniamo da dettami folli, da doveri a cui dobbiamo obbedire per non sentirci in difetto, da preghiere prima di addormentarci. L’alienazione religiosa ci ha intrisi di senso di colpa e così deleghiamo la nostra realizzazione ad altro, mentre invece dipende da noi e da quanto siamo disposti a farci il culo per capire la verità. Una società in cui quasi tutti preferiscono credere piuttosto che pensare ha difficoltà a dire di no. Ma forse in quattro o cinque secoli riusciremo a cambiare questa mentalità. Chi lo sa?
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