Ci sono attrici il cui volto riesce a trasmettere ogni più piccolo sentimento. Delusione, speranza, irrimediabile voglia di provarci. Elisabetta De Vito è una di queste. L’ho apprezzata in film dolenti come il bellissimo Non essere cattivo di Claudio Caligari (che le è valso la candidatura ai David di Donatello come migliore interprete non protagonista) e in intelligenti commedie come Benur – Un gladiatore in affitto. Ispirata peraltro ad una pièce teatrale di successo scritta da Gianni Clementi.
Dal 6 al 31 dicembre sarà la protagonista, assieme a Gabriella Silvestri, Stefano Ambrogi, Claudia Ferri, Alessandro Loi, Matteo Milani e Alessandro Salvatori di un’altra commedia di Clementi, La spallata, in scena al teatro della Cometa di Roma, per la regia di Vanessa Gasbarri.
La Roma del boom economico fa da sfondo alla storia di Lucia (Elisabetta De Vito appunto) e Assunta (Gabriella Silvestri). Quando i rispettivi mariti muoiono in un incidente sul lavoro le due donne dovranno rimboccarsi le maniche e trovare una nuova attività per vivere. Spinte dai figli, decidono di aprire un’agenzia di onoranze funebri, L’ultimo respiro. All’orizzonte si intravedono nuovi amori e nuovi problemi.
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Elisabetta De Vito, il teatro come casa
Elisabetta, chi è la tua Lucia?
La mia Lucia è una tipica donna di Clementi. Ne avevo già interpretato altre in Benur – Un gladiatore in affitto e in Fausto e gli sciacalli. Sono donne molto vere, popolane. Lucia è una buona, ha una speranza nel suo cuore che è quella di vedere i suoi figli sistemati, magari di ritrovare l’amore con Cosimo, che invece vorrebbe accasarsi. È una donna positiva. E anche se sembra paradossale, visto che alla fine ha un ictus, riesce a compiere un’evoluzione. Proprio grazie a questa malattia capisce quanto il boom, il capitalismo, la rincorsa alle cose materiali, distrugga i sogni. Vorrebbe poterlo dire ai suoi familiari.
Lo spettacolo poggia sul contrasto ironico tra vita e morte. Per tornare a vivere i protagonisti provano ad aprire un’agenzia di onoranze funebri. Quanto è divertente per un attore lavorare su questi opposti?
Lo è molto, davvero. È intrigante e interessante. Poi la compagnia con cui lavoro è straordinaria. Parlo con loro come se fossero davvero i miei figli.
La pièce, come altri lavori di Gianni Clementi, è radicata a Roma. C’è tanto di questa città bellissima e folle. Che importanza ha secondo te?
Roma ha un ruolo che sembra marginale, ma in realtà è quella che crea i personaggi delle storie di Gianni. E nonostante gli insulti quotidiani resta una città amata.
C’era una volta Roma
La spallata è ambientata proprio ai tempi della Hollywood sul Tevere. In quegli anni Roma sembrava davvero il centro dell’universo.
Infatti la mia figlia scenica vuole fare il cinema. Sono gli anni in cui gli americani girano a Roma, gli anni della Dolce Vita. Ero una bambina e quegli anni li ho vissuti. Ne ho dei ricordi belli, nostalgicamente belli. La città l’attraversavo da Sud a Nord per studiare danza. Mia madre mi accompagnava in questa scuola lontanissima da casa mia e me la ricordo bella, Roma, a dimensione umana. Comincio a fare i discorsi da vecchia (ride), ma vivevamo meglio davvero.
Quanto serve la leggerezza, intesa come comicità, per parlare invece di argomenti più profondi?
Moltissimo, anche se sono drammatica nella vita. È fondamentale far passare dei messaggi attraverso la leggerezza. Sennò la gente non ti sta a sentire. Siamo troppo angosciati dalla vita, rifuggiamo dalle cose pesanti. Invece leggerezza e comicità sono i modi migliori per arrivare al cuore delle persone.
Un’ultima domanda sul teatro. Lo consideri la tua casa?
Il teatro è casa mia, assolutamente sì. Pensa, il mio cane ha paura di tutto, ma appena entra in teatro si calma. Evidentemente gli passo questa sensazione di casa e di agio.
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