Sou Abadi è una regista iraniana che da tempo vive a Parigi. La sua esperienza è quella di una donna che, pur mantenendo un filo con la propria cultura d’origine, sa raccontarne senza pesantezza i limiti. E con la sua prima, divertentissima commedia, Due sotto il burqa, in uscita il 6 dicembre con I Wonder Pictures, riesce persino a far ridere dell’integralismo religioso. La storia è quella di Leila e Armand, due studenti parigini, innamorati.
Lui, figlio di genitori che hanno lasciato l’Iran dopo l’arrivo di Khomeini, è un “laico”. Lei deve invece fare i conti con un fratello, Mahmoud, che ha aderito al radicalismo islamico. Il ragazzo non vede di buon occhio la relazione della sorella e subito le impedisce di frequentare il ragazzo che ama. Ma Armand non si fa certo bloccare da questo impedimento. E per visitare liberamente la casa di Leila decide di indossare il burqa e passare per una studentesse bisognosa di ripetizioni. L’avvenente Sheherazade finisce però per far innamorare Mahmoud.
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Sou Abadi, l’amore e Dio
Fa una piacevole impressione che un film affronti con levità un tema così spigoloso. Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, una commedia sentimentale che parli di libertà, amore e rispetto reciproco è davvero una boccata d’ossigeno.
“Queste cose sono dentro di me da anni – ha raccontato Sou Abadi -. Da adolescente ho vissuto la presa del potere degli islamici in Iran. Non c’era da ridere e non c’è da ridere. Ma non volevo fare un film tragico. Volevo che lo spettatore passasse un ora e mezza piacevole e che ridesse in maniera intelligente“.
Emigrata in Francia all’età di 15 anni, Sou Abadi inizia con gli studi scientifici. Poi si lascia affascinare dal cinema antropologico di Jean Rouche e diventa una montatrice. Nel 2000 il debutto dietro alla macchina da presa con il documentario S.O.S a Teheran. Ora, il salto definitivo nel cinema di finzione. Con un occhio a Billy Wilder, il suo nume tutelare nella scrittura del film.
“Ho detto tutto quello che volevo dire in maniera gentile ed educata. Alla fine mostro rispetto per la religione, prendo in giro solo il fondamentalismo – ha continuato -. In effetti in Francia la comunità araba ha reagito davvero bene. In tantissimi hanno assistito alle anteprime durante il Ramadan. Prima del tramonto, ora in cui rompevano il digiuno. Mi hanno fatto i complimenti per aver finalmente parlato di Islam in maniera moderata e pacifica. Solo gli integralisti mi hanno minacciato. Ma dopo aver visto il film, non hanno avuto alcuno spunto per polemizzare“.
Sou Abadi, contro l’odio c’è il buon senso
Due sotto il burqa è un film assolutamente inclusivo e non polemico, che sfiora con delicatezza argomenti su cui è facile farsi prendere la mano. Tra il desiderio di credere a tutti i costi in Dio, come fa Mahmoud, e l’approccio più laico, come quello di Leila ed Armand, Sou Abadi propone una mediazione democratica.
“Ciascuno di noi dovrebbe usare il buon senso. Nella religione, nella fede, ma anche nei partiti politici, nelle ideologie in genere – mi ha risposto -. La religione credo possa aiutare a seguire un percorso un cammino. Dà una ricompensa da raggiungere. Può essere più facile vivere per un credente di quanto non sia per una persona atea, come me, che non ha appigli. L’importante è rimettere tutti insieme, fare tutti un passo verso l’altro“.
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