Elda Lanza è un portento. Ha da poco compiuto 93 anni, festeggiando con la pubblicazione di un nuovo romanzo, Imparerò il tuo nome (Ponte alle grazie). E tra qualche giorno uscirà per Salani un altro libro, Uomini. La stupidità in amore è una cosa seria. Questa signora vitale e intelligente, giornalista, esperta di comunicazione, docente di Storia del costume, non solo ha contribuito a far crescere la televisione italiana, ma si è ritagliata un grande spazio nella letteratura contemporanea, diventando in tarda età un’apprezzata e prolifica scrittrice.
Dai gialli del commissario Max Gilardi, che l’hanno fatta conoscere al grande pubblico, Elda Lanza passa con scioltezza a una storia più intima e passionale.
Quella di una giovane donna alla ricerca della propria identità e del vero amore. Abbandonata in tenera età dai genitori, questa ragazza, redattrice di una rivista patinata, prova disperatamente a trovare qualcuno che non la deluda. Che ci sia sempre. E in questo viaggio incontrerà tante persone, uomini e donne che amerà con lo stesso trasporto.
Signora Lanza, la prima è una curiosità da amante della scrittura: cosa prova davanti al foglio bianco, prima di iniziare a scrivere? È in crisi o sente l’emozione per la nascita di una cosa nuova che sta creando lei stessa?
Non ho mai capito la crisi dello scrittore di fronte al foglio bianco, prima di iniziare. Scrivere non è un obbligo – solo in alcuni casi, ma quello è lavoro non scrittura – Quando lo scrittore ha il foglio aperto davanti ha già nel cuore e nella mente quello che scriverà. Ha già le emozioni che lo guideranno su quel foglio a interpretare i suoi pensieri. Può ripensarci, cancellare e riscrivere anche dieci volte le stesse pagine alla ricerca della forma migliore, o può scrivere d’impulso seguendo un’idea che preme per diventare scrittura. Io scrivo quietamente d’impulso, inizio dal titolo, che è sempre la prima cosa che voglio. Poi, parola dopo parola, pagina dopo pagina, dalla prima all’ultima. Mai ritornando su quello che ho scritto, raramente cancellando e riscrivendo.
Elda Lanza: “Il romanzo è già dentro di me, già mio”
La protagonista del suo romanzo soffre per un doloroso abbandono vissuto in giovane età. Certe ferite si riescono a rimarginare? E come?
Un bambino infelice non sarà mai un uomo felice. L’infelicità si impara da piccoli. Il bambino infelice diventato adulto non dimentica di quando piangeva e nessuno lo consolava. Di quando si raccontava da solo le favole, prima di dormire. Di quando parlava e rideva e piangeva da solo – perché era solo.
Chi viene abbandonato si sente spesso responsabile dell’accaduto, soprattutto se è un bambino. Da adulto quel bambino non può fare a meno di chiedersi perché sia stato abbandonato. Lei riesce a dare una risposta a questo interrogativo?
No, naturalmente. Anch’io mi sono chiesta se ero stata cattiva. Sono convinta che quel senso di colpevolezza ti rimane dentro per farti sentire sempre inadeguata a qualsiasi rapporto. Sempre dalla parte del torto. Non è un complesso di inferiorità, è un complesso di colpevolezza. Di dolore che affiora continuamente.
Quanto certi strappi ci portano ad essere costantemente sul chi va là con le altre persone?
La mia protagonista cerca furiosamente un altro da sé. Che sia a ogni costo suo, dalla sua parte, anche a un prezzo molto alto (Lerna, per esempio).
Elda Lanza: “Sino alla fine di quel viaggio, è continuamente sola di fronte al suo specchio”
L’eroina del suo romanzo non ha un nome. Quasi non avesse un’identità precisa. È per questo che ha scelto di privarla di un riferimento così importante?
No, non era la mia intenzione. Mi sono poco curata del fatto che potessi essere identificata con la protagonista: c’è molto di me in questa donna. Senza nome per non darle un’identità precisa, per lasciarla libera di scegliere.
Chi invece questo nome lo conosce e lo ripete più volte, è la persona che finalmente avrà il cuore della protagonista?
No, sarà lei, dopo la sua scelta definitiva, a ritrovare il proprio nome. Un nome che le restituisce l’amore che non ha mai avuto.
Noi donne abbiamo lottato per diritti sacrosanti. Spesso, come capita alla protagonista del suo romanzo, l’apparente bellezza della vita professionale non corrisponde ad una reale realizzazione umana. Perché succede questo secondo lei?
Non credo che sia una conseguenza del femminismo o della realizzazione femminile nel campo del lavoro, della politica, della scienza e del lavoro. Ognuno è responsabile della propria realizzazione, in amore come nel lavoro e nei rapporti. Ormai siamo cresciute.
Elda Lanza, la storia della televisione italiana
Lei ha vissuto gli anni più gloriosi della TV italiana. Le piace quella di oggi?
Spesso perdiamo di vista, a questo proposito, una realtà molto banale: è il pubblico che è cambiato, che non è più lo stesso dei miei tempi. Una trasmissione come quella che facevo allora, Vetrine, per un pubblico femminile del pomeriggio non regge a nessun confronto con una trasmissione come DettoFatto, diretto nel pomeriggio alle donne di oggi. Non conta in che cosa fosse diversa, se questa è più bella, conta il pubblico che la guarda, che la segue, che fa alzare l’auditel. Il vero padrone delle nostre TV.
Che idea si è fatta dello scandalo Weinstein?
Non capisco lo scopo di urlare oggi per un male subito vent’anni fa che ha prodotto frutti, notorietà e guadagni. Rinunciando a fermarlo allora. Consentendogli di fare altro male a altre ragazze forse più deboli, indifese e impreparate. Comunque donne. Lui andava preso a calci, ma nessuno allora ha alzato una gamba per farlo. La giovane età delle vittime mi addolora, ma non mi convince.
Le è mai capitato nella sua vita professionale di doversi confrontare con un predatore come Weinstein?
No. Non mi ritengo fortunata, ma adatta al mio ruolo. Ho detto di no tante volte, ma ho avuto la fortuna di lavorare per le cose che amavo con persone che mi riconoscevano per quello che sapevo fare. Non la ritengo una fortuna ma neppure un merito.
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