Per una serie di motivi, Eataly ha preso il posto di Ikea nella mia vita. Prima di tutto posso raggiungerla facilmente da casa mia, mi basta salire sul trenino in direzione di Roma-Ostiense per arrivare a destinazione dopo una sola fermata. Non c’è bisogno di muovere a compassione anima viva per un passaggio in macchina, insomma, e questo mi rende molto felice. E poi ci sono gli odori taumaturgici, solo che al posto del profumo del pioppo svedese, mi faccio cullare da quello di pizza e polli arrosto. L’ideale per fare la spesa.
Il guadagno è moderato, ma tangibile. D’accordo, forse guadagno non è la parola giusta quando si varcano i cancelli di questo mastodontico regno della gastronomia. Un luogo dove ogni cosa, anche la più piccola, ha un costo elevato. A preciso appunto, si risponderà che il costo è appropriato alla qualità del prodotto e mi può anche stare bene.
Tutto sta nell’organizzare dettagliatamente la spesa in modo da comprare solo ciò che serve davvero. Se hai bisogno di 20 grammi di aneto è inutile andare nel reparto pentole e amoreggiare con le formine in silicone dall’irrisorio costo di 25 euro o con lo schiaccianoce a forma di noce.
Il dilemma della spesa
Si chiudono gli occhi nel settore libri di cucina e si va direttamente al secondo piano, dove sono sistemate le spezie, una sottile lingua di terra compressa tra pasta e olio, ossia tra due elementi potenzialmente letali per una curiosa cronica come me.
Ad ogni modo, la sfida di oggi è entrare da Eataly e spendere circa due euro. Con un minimo di coraggio e programmazione l’impresa della spesa è a portata di mano.
Prima scelta, banane o pomodori. I pomodori pesano un sacco e mi fanno sforare di 50 centesimi. Prendo le banane a 1,47. Il ginger in offerta sussurra il mio nome, ma non mollo. Se mollo sul ginger, mollo su tutto e poi mi tocca andare a riprendere i pomodori, la marmellata di ribes selvatici del Kurdistan e i tovaglioli di carta decorati coi macarons.
I raggi del sole provano a illuminare solo gli stand che contengono cose che costano 53 centesimi. Praticamente nulla, visto che anche la borsa termica costa 1 euro. Non posso pensarci e allora, mentre passeggio nervosamente davanti alle conserve (secondo piano, al fianco delle farine), mi abbandono alla selezione musicale che propone in sequenza, Ricchi e Poveri, Eros Ramazzotti e Fiordaliso.
Mi rendo conto che hanno inserito nello stereo una musicassetta trovata in un’automobile scassinata a Gizzeria Lido nel 1978. Forse si tratta della 127 gialla di mio padre, ma persino lui ascoltava Bob Marley, quindi non so.
Cronache del carrello
Cammino un altro po’. Il banco salumi emana in certi punti un olezzo molto forte, una specie di aroma di candeggina affumicata che mi sospinge direttamente al terzo piano, reparto alcool e affini.
Il passaggio del carrellino semivuoto, quindi instabile, vicino a bottiglie di vino pregiato ha il suono del battito di ali dell’angelo della morte.
Quella nuova folata di simpatia mi porta via da lì e mi sistema direttamente nell’ascensore trasparente. Nel frattempo siamo passati a Riccardo Cocciante.
Mentre lui canta per chi l’ascolterà, mi avvicino alla cassa felice e vittoriosa.
Dovevo spendere 2 euro, ne ho spesi 1,47. Ho mollato perfino i tarallucci in offerta a 50 centesimi, posso fare a meno di 5 grammi di snack salati. Che tra l’altro provocherebbero in me uno strano desiderio di succo di fragola e petali di rosa (1 euro). È una questione di organizzazione.
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