È colpa della pizza. È colpa della pizza se il mio stomaco si è espanso quattro volte più del normale (nelle ultime 24 ore) per accogliere quantità inverosimili di questo malefico intruglio. L’arma più potente sulla faccia della Terra, un misterioso groviglio di profumi e sentimenti, un rito da consumare con gli amici.
Qualcosa che fa ingrassare e a cui saprei rinunciare benissimo, tranne in quei due o tre giorni all’anno in cui ne mangio quantità industriali. Pura pornografia gastronomica. Sulla pizza non si scherza.
L’ho addirittura inserita nel mio decalogo di definizione delle donne croniche, fai tu.
Tutti noi conosciamo la pizzeria migliore, il pizzaiolo più ispirato. Qualche settimana fa un mio amico mi ha portato a Nettuno in un locale di pochi metri quadri in cui si mangia SOLO pizza. Buona, lo ammetto. Né troppo alta, né troppo bassa. Io ho ordinato una marinara. Chiaramente il cameriere mi dice “Con aglio e origano, vero?” – “Sì, una marinara con pomodoro, aglio e origano. Lo so che il pesce non c’entra”.
Capito? Lui voleva mettermi alla prova, voleva testare le mie conoscenze e me la sono cavata alla grande.
Poi c’è LA scuola napoletana, a cui appartengono di diritto tutti coloro che sono nati nella città partenopea, nelle zone limitrofe o che sono nati a Bergamo, ma hanno un lontano parente di Sorrento. Ecco, basta il secondo cugino di Ravello per poter appartenere alla scuola napoletana.
Con una differenza sostanziale: l’amico bergamasco, con lo zio di Sorrento, ti guarda da pari a pari, ed è anche disposto a condividere delle informazioni con te (“Se vai a Sorrento non ti dimenticare di chiedere di Giggino dì che ti mando io” – “Ma sei sicuro? Non eri di Bergamo” – “Sì, ma il fratello di mamma è di Pozzuoli” – “Che non è a Sorrento” – “Eh, ma poi si è trasferito” – “E ora dove vive?” “A Linz” – “Ah ecco”).
L’amico napoletano vero no. Lui sa di essere fortunato ad essere nato lì e non qui. E te lo fa pesare. In ogni modo possibile. “Io a Roma la pizza non la ordino proprio” – “Ma guarda, ti dirò…” – “No, non me lo dire”. Basta. La conversazione finisce qui e si passa al decoupage e alle mille virtù della colla a caldo.
L’amico della pizza
È una lotta durissima per difendere le proprie convinzioni. Come quando si affronta l’annoso tema della pizza casalinga, che preparo con passione da quando avevo 13 anni, dopo un lunghissimo training (mani appiccicaticce, lievitazione inapprezzabile, consistenza lignea come una pala d’altare del ‘500, fondo bruciato gusto fumè).
“Non ci metterai mica l’origano sulla Margherita, vero?”, fa l’amico appartenente alla scuola napoletana più ortodossa (la peggiore). “Dove lo trovavo il basilico il 3 dicembre? Andiamo, ti sarà capitato…” – “Io il basilico lo congelo e poi lo metto sulla pizza, no?”. Perché non ci avevo pensato? Perché ho mostrato il fianco a questa critica feroce?
Io mi ribello a questa logica elitaria! Io non credo nella pizza, credo nei pizzaioli, in quelli che fanno la pizza buona e in quelli che fanno casino.
Nella sedicenne che vuol fare la pizza meglio di sua madre e nel bergamasco che ha lo zio di Pozzuoli emigrato a Sorrento e poi a Linz. Credo anche negli amici appartenenti alla scuola ortodossa (la peggiore), quelli che al di fuori della Campania non ordinano la Margherita per estremo rispetto. Li capisco, li capisco benissimo! Ma capite anche noi, noi che il 3 dicembre mettiamo l’origano e non il basilico. E che abbiamo amici bergamaschi. Senza zii sorrentini.
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