Quanto coraggio ci vuole per debuttare come regista in Italia? Michela Andreozzi ha una sua teoria al riguardo. E in qualche modo ha a che fare anche con la consapevolezza di sé. «Non è facile per nessuno, soprattutto alla mia età – ci ha raccontato -. Questo è un Paese che è sempre alla ricerca di nuove leve, di nuova linfa, ma poi mette tutti nel calderone. Io sono contenta di aver debuttato da vecchietta perché tutto sommato non ho niente di nuovo. È il film che è nuovo».
Nove lune e mezza, dunque, è una creatura voluta e amata, una piccola grande realizzazione che somiglia davvero a una nascita. Non uso questa parola a caso, perché il film parla (anche) di maternità. Attraverso la storia di due sorelle, Tina, interpretata dalla stessa Michela Andreozzi e Livia, la radiosa Claudia Gerini. La prima vorrebbe essere madre, la seconda non ci pensa nemmeno. Nonostante questo, Livia decide comunque di cambiare il suo stile di vita pur di vedere felice Tina. Così, porta avanti la gravidanza per lei.
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Michela Andreozzi e le donne di oggi
Quando hai immaginato il film quali erano i tuoi parametri? Chi ti ha ispirata? Si parte sempre da un’idea, un amore…
«La mia idea di cinema era quella di chi l’ha studiato, di chi lo ama. Di chi lo considera come una delle cose più centrali della sua vita, il primo amore artistico. Vedere a che punto sono arrivate, cosa vogliono e cosa non vogliono. E secondo me la relazione con la maternità è il modo più diretto per raccontare una storia di questo genere. È una cifra abbastanza precisa per raccontare come sono diventate le donne».
Qualcosa ti ha intimidita all’inizio?
«Non mi ha intimidita niente, sinceramente. Sono stata un po’ incosciente su certe cose perché volevo essere onesta. Del resto io amo il cinema genuino. Puoi fare un film più o meno amato, perfetto o giusto, ma deve essere vero. Sono contenta del film che ho fatto. Gli voglio bene. L’ho fatto come lo sentivo e non ho giudicato il mio lavoro, né i miei pensieri. E non ho avuto strategie di nessun tipo».
Io e mia sorella
Il tuo film è anche un inno alla sorellanza…
«Io ho una sorella e ti dico che la sorellanza è croce e delizia. È il rapporto più bello, più indispensabile, ma anche il più crudo della vita. Perché tua sorella è quella che ti darà più gioie e per cui tu proverai più preoccupazioni. Il discorso vale per una sorella di sangue o per la migliore amica che ti sei scelta. Sono rapporti misteriosi che vanno raccontati non soltanto alla Sex and the City».
Altre registe italiane hanno raccontato il mondo delle donne. In cosa si differenzia il tuo approccio?
«Io guardo a Francesca Archibugi, Lina Wertmuller e Francesca Comencini con venerazione totemica. Le loro magari erano storie di donne in contesti generali. A me faceva piacere raccontare le donne in una storia di donne. E con un occhio femminile. In questo momento c’è un po’ bisogno di sostenerci. Volevo fare una commedia che svelasse quello che ci unisce».
Il paradosso della maternità
Sei giudicata se i figli non li vuoi, perché vieni considerata meno donna, ma se li vuoi a tutti i costi sei ugualmente biasimata. Qual è il problema esattamente?
«Il problema è che non si riesce a scindere la donna dalla maternità, perché è biologicamente strutturata così. Non riusciamo a scollarci dall’idea che per forza la donna debba confrontarsi con il diventare madre. Una donna è un essere umano».
Che percorso narrativo hai scelto per parlare di questo?
«Io che sono una donna che non vuole figli, nel film ho interpretato apposta una donna che li vuole. Mi sono vista attraverso un alter ego, anche perché volevo passare attraverso quest’esperienza. Così ho chiesto a Claudia Gerini, che è la più brava attrice di commedia che abbiamo in Italia di interpretare quello che io in realtà sentivo. Perché il personaggio di Livia sono io. Insomma, non è una questione di parità, noi abbiamo esigenza di essere considerate solo in quanto esseri umani. E il film lancia questa provocazione».
Ci si può realizzare senza mettere al mondo un figlio. Anche questo film è un figlio…
«Sì, sono la madre di questa creatura. Oggi sul mio profilo Facebook privato ho chiesto scusa per aver postato tutte le interviste. Sembro una di quelle madri che stanno sempre a pubblicare le foto del pupo. In effetti è così. Al primo dentino smetto, promesso».
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