Richard Gere ha raggiunto una grande maturità attoriale. Si è lasciato alle spalle il cliché del gentiluomo marpione che deve essere redento (sì, Edward di Pretty Woman) e da tempo ha imparato a scegliere con oculatezza le storie da interpretare. Meno glamour, più sostanza. Come L’incredibile vita di Norman, in uscita il 28 settembre con Lucky Red. Nel film di Joseph Cedar, che ho recensito qui, Gere è un personaggio dal fascino misterioso.
Intrallazzatore, “affarologo”, stratega della fuffa, Norman Oppenheimer, membro della comunità ebraica di New York, cammina per i marciapiedi di Wall Street stretto nel suo cappotto beige. Alla ricerca della giusta occasione per emergere, dell’incontro della vita. Come quello con il futuro primo ministro israeliano Micha Eschel (Lior Ashkenazi).
A 68 anni però Norman non può essere solo un rampante manager che pretende un posto al sole. E allora?
“Norman è spinto al compromesso, ma ha un cuore sincero. Non manipola, non brucia le persone. Vorrebbe realizzare quello che ha promesso e rendere tutti felici“, ha raccontato Gere nel suo incontro con la stampa a Roma.
Il suo Norman è la cartina di tornasole di una società che costruisce i suoi rapporti sull’utile.
“Credo che il mondo oggi sia basato sulle trattative, sui compromessi e sulle transazioni – ha aggiunto –. Chiunque si domanda: se faccio qualcosa quale è la contropartita a mio vantaggio?“.
Richard Gere, Norman e… Trump
In questo senso, l’esempio migliore arriva dal nuovo capo della Casa Bianca, Donald Trump, un uomo che ha costruito fama e ricchezza sugli affari.
“Abbiamo un Presidente degli Stati Uniti che vive completamente nel compromesso e che non è mosso da alcun senso morale, è lo specchio della nostra società. In questo senso può essere positivo per motivarci a essere differenti, per cambiare“.
E se Norman Oppenheimer gli portasse finalmente un Oscar?
“L’Oscar mi servirebbe eccome perché mi spianerebbe la strada verso la realizzazione di un numero maggiore di film indipendenti. Quindi, perché no?“, ha concluso.
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