La mia carriera nella moda è durata pochi anni. Guardavo tutti i programmi in televisione, servizi dei telegiornali inclusi, compravo quegli assurdi mensili coi cartamodelli, e puntualmente le camicette che creavo erano di 12 misure più grandi (i tedeschi non le devono fare queste cose!), disegnavo intere collezioni senza costrutto su quaderni a quadretti.
Una volta a scuola portai una serie di bozzetti inguardabili ispirati a Zooropa degli U2. Il dramma. Le mie amiche mi guardavano come per dire “e io dovrei mettere quella cosa lì? Bella eh, particolare, però…”
Però nella mia testa servivano a sentirmi parte del gioco. Disegnavo vestiti con la speranza di fare una sfilata in cui avrei avuto come ospiti Bono e soci, le loro amiche modelle, Christy Turlington in testa, e che sarebbe stata naturalmente il mio trampolino di lancio verso il successo.
MTV Europe avrebbe mostrato di lì a poco quanto forte sarebbe stato il legame tra musica, moda, super top ecc. E volevo stare lì anche io. Col mio metro e cinquanta. C’è qualcosa di più coraggioso e assieme desolante di un’adolescenza vissuta sotto l’effetto di un narcotico?
Tutto ha un termine però, anche le favole bislacche. Così lasciai stare. Avrei avuto bisogno di troppe lezioni solo per disegnare una riga di senso compiuto. Sì d’accordo l’arte è fatta anche di linee sbilenche e colori azzardati, ma io azzardavo troppo ecco.
Di imparare a cucire poi non se ne parlava nemmeno. La sarta di famiglia era sempre stata mia madre e per quanto adorassi vederla tagliare la stoffa con la forbice arrugginita ereditata dal nonno, non l’avevo mai considerata un’insegnante. Troppo brava, inarrivabile.
Lo disse pure Roberto Mancini parlando dei grandi giocatori che diventavano (pessimi) allenatori, “se uno come Maradona si aspetta che il suo attaccante faccia quello che faceva lui sta fresco“. Non dico che mamma fosse Maradona, era semplicemente nel suo. E non era il mio.
Moda, ultima frontiera
Quando però l’altro giorno ho rivisto quello scatto meraviglioso con tutte le top megagalattiche degli anni ’90 mi è ritornato in mente quel periodo della mia vita in cui disegnavo gonne lunghe a forma di limone (collezione Zooropa).
Milano, settimana della moda, l’omaggio al grandioso Gianni Versace a 20 anni dalla sua tragica morte. Carla Bruni, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Cindy Crawford ed Helena Christensen tutte insieme. Oggi. Con Freedom di George Michael a fare da accompagnamento musicale.
I miei coetanei maschi hanno ripensato alle nottate solitarie nelle camerette (leggasi onanismo, inutile che negate vi ho letti tutti su Fb). Le donne della mia età si sono riviste quindicenni davanti allo specchio del bagno a disegnare sul labbro il neo di Cindy Crawford. Io invece rievocavo quanto mi sarebbe piaciuto essere una geniale creativa.
A quindici anni sognavo guardando i vestiti di Versace e le foto di Richard Avedon. Hai presente quella collezione con le stoffe ispirate alle stampe di Andy Warhol? Ma ero solo una sgraziata adolescente di Piramide (quartiere di Roma, ndr) con fantasia galoppante, troppo autocontrollo e una madre sarta. Cosa mai avrei potuto fare?
Dire che le top, quelle top, siano ancora bellissime mi sembra superfluo. Pure con qualche anno in più. Non saranno mai donne normali, anche se, ipotizziamo, ogni tanto sarà capitato anche a loro di portare i figli a scuola e di preparare la cena.
Tuttavia, Naomi, Cindy e le altre hanno poco a che vedere con le mannequin di oggi, tutte uguali e tutte con la medesima aria da uccellino spaurito. Talmente tanto magre e tristi da spingere le grandi multinazionali del fashion a mettersi d’accordo per evitare di assumere ragazzine sottopeso.
Mi faccio un’ultima domanda: il vestito della Crawford lo faranno anche per taglie petite?
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